Introduzione: Angelo.
Un grande articolo che davvero mancava in Italia: rispondere alle più comuni osservazioni che i detrattori di un regime “paleo” normalmente fanno…
Autore l’ottimo Alessio che, in passato, ci ha già offerto una grande serie di articoli dedicati allo stile di vita barefoot.
L’articolo è stato diviso in tre parti per facilitare la lettura!
di Alessio, barefooter ed EVO trainer
Lo sviluppo della tolleranza al lattosio è un chiaro esempio di evoluzione recente (© Felix Wirth/Corbis). Diversi esempi di evoluzione umana recenti e relativamente rapidi indicano che la nostra anatomia e la nostra genetica non sono scolpite nella pietra fin dall’omonima età. Nell’arco di 7000 anni, per esempio, le persone si sono adatte a mangiare latte sviluppando tolleranza al lattosio. Di solito, il gene che codifica per un enzima chiamato lattasi – che scompone gli zuccheri del lattosio presenti nel latte – si spegne dopo l’infanzia; quando si sono diffusi i latticini, molte persone hanno evoluto una mutazione che mantiene il gene attivo per tutta la vita.
Ecco lo specchietto per le allodole: come detto in precedenza, è vero che a fronte di un cambiamento ambientale gli esseri viventi reagiscono come possono. Il meccanismo che ha portato al non spegnimento dell’enzima lattasi (da parte di una PICCOLA percentuale della popolazione!!) è molto semplice e coinvolge un banale meccanismo epigenetico, che non va a cambiare il nostro DNA rendendo il latte un alimento fondamentale per la nostra specie, anche perché come abbiamo visto il cibo non specie-specifico ha “N” problemi allo stesso tempo, non uno solo, problemi che per alcuni cibi come il grano sono stati risolti seguendo un’altra linea evolutiva la cui diramazione è partita decine di milioni di anni fa, se non centinaia).
L’enzima lattasi era già presente, non è stato creato dal nulla, come gli enzimi che possiedono gli uccelli in grado di spezzare il legame tra prolina e glutammina (frazione gliadinica del glutine) o quelli in grado di arricchire il valore biologico delle proteine o rompere gli antinutrienti.
Infatti, noi non siamo in grado di digerire il glutine come fanno invece i granivori, come il panda nonostante milioni di anni di tempo, pare non abbia ancora sviluppato gli enzimi atti alla completa digestione della cellulosa.
Inoltre abbiamo già detto in precedenza che il problema del latte non è solo legato al lattosio, bensì alle caseine e agli ormoni destinati ai vitelli e non agli esseri umani.
Quello che manca alle critiche delle diete evoluzionistiche sono proprio, ironicamente, i riscontri derivanti dalle evidenze scientifiche e dagli studi, quelli a cui tanto si appigliano incredibilmente proprio i detrattori della teoria stessa. L’osservazione antropologica e gli indizi paleontologici va a fornire solo delle ipotesi, ma la forza delle diete evolutive sta proprio nei riscontri derivanti dagli studi e dalle prove empiriche e dalle evidenze che fanno da conferma, senza i quali sarebbero solo sterili congetture come altre.
Ormai più di una ventina di pubblicazioni scientifiche e dimostrano inequivocabilmente la superiorità delle diete evoluzionistiche (ndr. ultimamente anche una review e meta-analisi).
Al contrario, le critiche derivano solo da indizi confusionari e distorti, come ad esempio l’ipotesi del grande consumo di cereali e piante nel paleolitico (tentativo già spiegato in un punto di questa discussione) a seguito di recenti studi sui reperti fossili. Peccato che queste “deduzioni” possano solo ingannare il lettore “medio” di riviste scientifiche, mentre il lettore più attento e smaliziato con un vero background culturale va a controllare i metodi con la quale sono state avanzate queste ipotesi.
Vediamo quindi che per arrivare a questa congettura è stato utilizzato il metodo degli isotopi; peccato che sia alquanto difficile attribuire lo studio degli isotopi di carbonio C3 e C4 ad un consumo diretto di piante o indiretto di animali che si sono cibati di tali piante.
L’evidenza relativa al tratto gastro intestinale e ai nutrienti essenziali necessari per lo sviluppo del cervello rappresentano la migliore delle ipotesi che sostiene il preponderante utilizzo di fonti animali nelle diete del paleolitico, confermate dagli studi sulle popolazioni ancora esistenti di cacciatori raccoglitori, la cui maggior parte consuma dal 50 al 65% di cibi animali.
L’eventuale sporadico utilizzo di cereali e legumi selvatici dell’epoca (che ben poco avevano a vedere con il grano Creso ricco di glutine e il mais odierni) come cibo di pura sopravvivenza in certi momenti critici, non giustifica certo il fatto che pasta, pane, pizza, dolci e altre schifezze possano essere la BASE dell’alimentazione odierna e non alimenti da condividere una volta alla settimana con gli amici.
Insomma, ignoranza o mala fede?
Allo stesso modo, la mutazione genetica responsabile degli occhi azzurri si è presentata probabilmente tra 6000 e 10.000 anni fa. E nelle regioni in cui la malaria è comune, la selezione naturale ha modificato il sistema immunitario e i globuli rossi delle persone in modi che aiutano a resistere alla malattia trasmessa dalle zanzare; alcune di queste mutazioni genetiche sono apparse negli ultimi 10.000, o forse 5000, anni.
Stesso discorso di prima, si parla di “crudi” e semplici mutamenti epigenetici che non cambiano il DNA di base.
Gli organismi con cui condividiamo i nostri corpi, in particolare i miliardi di batteri che vivono nel nostro intestino, si sono evoluti più velocemente. I batteri intestinali interagiscono con il cibo in molti modi, aiutandoci a frantumare le dure fibre vegetali, ma competono anche per le calorie. Non abbiamo prove dirette di quali specie batteriche prosperassero negli intestini paleolitici, ma possiamo essere sicuri che le loro comunità microbiche non corrispondevano esattamente alle nostre.
Più che evoluti li abbiamo distrutti, provocando una catastrofe. Gli ultimi studi sui microbiomi degli Hadza e degli Yanomamo (ndr. già puntualmente presentati dal ns. blog), mettono in luce una differenza abissale con le società moderne, essi possiedono una varietà di specie che ci fa impallidire.
Con la cattiva alimentazione, antibiotici ecc.. andiamo a distruggere e a modificare il microbiota intestinale, provocando un aumento dei batteri cattivi a discapito di quelli buoni, il SIBO, permeabilità intestinale con le relative malattie correlate.
Inoltre in base alle ultime teorie, pare che sia proprio il cattivo funzionamento del microbiota intestinale che non riesce a fronteggiare farinacei e cibi processati a portare a resistenza insulinica e leptinica, più che l’indice glicemico stesso degli alimenti.
Il prof. Lindberg con il dr. Luchi di Grosseto, a sx il prof. Lenori.
Anche se mangiare solo i cibi a disposizione dei cacciatori-raccoglitori del Paleolitico avesse senso, sarebbe comunque impossibile. Ha sottolineato Christina Warinner, dell’Università di Zurigo, nel suo discorso alla TED Conference 2012. Che si tratti di frutta, vegetali o animali, pressoché qualsiasi specie consumata oggi è radicalmente diversa dalla sua antenata del Paleolitico. Nella maggior parte dei casi, abbiamo trasformato le specie che mangiamo attraverso la selezione artificiale: abbiamo allevato mucche, polli e capre per fornire più carne, latte e uova, e abbiamo seminato solo i semi provenienti da piante con i tratti più desiderabili: i frutti più grandi, i chicchi più tondi, la carne più gradevole e il minor numero di tossine naturali.
In realtà i cereali sono molto più tossici che in passato.
Inoltre, la frutta e la verdura, seppur selezionata tramite incroci, presenta caratteristiche nutrizionali non tanto distanti da quello che si trova in natura, mentre sono proprio i cereali, capisaldi dell’alimentazione moderna ad essere quelli che hanno subito il peggior trattamento; infatti il grano Creso presenta una percentuale molto maggiore di glutine. Per la carne basta trovare allevamenti grass fed, polli ruspanti e pesce pescato; gli allevamenti grain fed presentano un profilo lipidico sfavorevole nel rapporto omega6-omega3, grasso sintetizzato come punto di raccolta di tossine liposolubili, un minor contenuto di ferro, vitamine, antiossidanti e sali minerali.
La dieta paleolitica non ignora solo il modo in cui la nostra specie, i microrganismi all’interno del nostro corpo e gli animali e le piante che mangiamo si sono evoluti negli ultimi 10.000 anni, ma anche gran parte delle prove di cui disponiamo sulla salute dei nostri antenati nel corso della loro spesso breve vita (benché una minoranza dei nostri antenati paleolitici raggiungesse i quarant’anni, molti probabilmente morivano prima dei 15). Né i cacciatori-raccoglitori paleolitici né i nostri più recenti predecessori erano degli Adoni scultorei immuni da tutte le malattie.
Il mito dell’età media è stato sfatato fino alla nausea ed è ormai confinato nei discorsi da bar sport (basta vedere: Longevity Among Hunter-Gatherers: A Cross-Cultural Examination), la salute nel paleolitico e quella relativa ai cacciatori raccoglitori è stata ben documentata dai numerosi studi dei vari Eaton, Cordain, Lindberg ecc.. per quanto riguarda il loro fisico scultoreo le foto parlano da sole.
Poi basta leggere Paleopathology at the Origins of Agriculture (Bioarchaeological Interpretations of the Human Past: Local, Regional, and Global) di Mark N.Cohen per rendersi conto del peggioramento delle condizioni di salute nel passaggio all’agricoltura, salute precaria che abbiamo anche oggi (anzi, in continuo peggioramento a causa del cibo industriale, pesticidi, inquinamento ecc..).
Per sottolineare le condizioni fisiche poi, le foto parlano da sole:
Aggiungo poi che l’articolo, non potendo criticare gli studi di Eaton, Cordain ecc… va ad attaccare Mark Sisson, che, tra le altre cose, dispensa “paleo ricette” a base di fritture nel lardo, carne di maiale (ndr. che onestamente è un’ottima fonte di proteine se i maiali sono allevati liberi di grufolare) e burro a go-go, tutt’altro che attinente agli studi in questione (ndr. che non parla propriamente di “paleo” ma di “primal“, che è un’altra dieta).
Purtroppo la dieta Paleo, non essendo stata protetta da alcun brevetto, è stata oggetto di taroccamenti volti a farne un business con tanto di ricette, snack e integratori che vanno proprio a ledere i concetti fondamentali su cui si basa.
Un recente studio ha cercato segni di aterosclerosi nelle arterie intasate di colesterolo e grassi in più di cento antiche mummie di società di agricoltori, raccoglitori e cacciatori-raccoglitori di tutto il mondo, tra cui Egitto, Perù, sud-ovest degli Stati Uniti e isole Aleutine. “Un’idea comune è che l’aterosclerosi si prevalentemente legata agli stili di vita, e che se gli esseri umani moderni emulassero quelli preindustriali o addirittura dell’epoca preagricola, l’aterosclerosi, o almeno le sue manifestazioni cliniche, verrebbe evitata”, hanno scritto i ricercatori, che hanno trovato prove di una probabile o certa aterosclerosi in 47 su 137 mummie provenienti delle diverse aree geografiche. E anche se le malattie cardiache, il cancro, l’obesità e il diabete tra i nostri predecessori non erano così comuni, essi dovevano affrontare molte minacce alla loro salute che le misure sanitarie e la medicina moderne hanno reso trascurabili, almeno per chi vive nei paesi industrializzati, come le infestazioni di parassiti e diverse infezioni batteriche e virali letali.
Prima cosa, gli ultimi studi evidenziano come le placche artereosclerotiche in sé non provochino malattie cardiovascolari, bensì il trigger è l’infiammazione costante, guarda a caso data dalla dieta tipica occidentale, cereali, latticini e oli di semi.
Scegliendo fonti alimentari animali non troppo grasse si vanno ad eliminare cibi troppo sbilanciati nei grassi saturi come l’acido palmitico responsabili della formazione di tali placche.
In secondo luogo, le infezioni virali si espandono dove si vive “stipati” con una densità di popolazione considerevole, mentre in piccoli gruppi di poche decine di persone sparse per il mondo le pandemie sono alquanto improbabili. Inoltre, cosa c’entra questo discorso con la dieta? È solo un modo per confondere le idee dal punto principale della questione?
Alcuni cultori della dieta paleolitica sottolineano di non aver mai pensato a uno stile di vita o una dieta realmente da uomo delle caverne e affermano di usare il nostro passato evolutivo come guida, non come un testo sacro. Questa strategia sembra abbastanza solida in un primo momento, ma si disintegra rapidamente. Anche se i ricercatori ne sanno abbastanza da poter avanzare con ragionevole certezza alcune generalizzazioni sulle diete umane nel Paleolitico, i dettagli non sono chiari.
Qual era esattamente la proporzione di carne e verdure nelle diete delle diverse specie di ominidi del Paleolitico? Quando i nostri avi hanno iniziato a mangiare cereali e prodotti lattiero-caseari? Forse molto prima di quanto pensassimo. Quello che possiamo dire con certezza è che nel Paleolitico la dieta umana variava immensamente in base alla geografia, alla stagione e alle opportunità. “Ora sappiamo che gli esseri umani non si sono evoluti sulla base di un’unica dieta paleolitica, ma che erano mangiatori flessibili; un’intuizione che ha importanti implicazioni per l’attuale dibattito su quello che la gente oggi dovrebbe mangiare per essere sana”, ha scritto l’antropologo William Leonard della Northwestern University nel 2003 su “Le Scienze”.
Questo dimostra che ci si può adattare a varie combinazioni di macronutrienti in base all’area geografica e alle caratteristiche individuali (da qui i micro adattamenti epigenetici di cui abbiamo parlato): insomma, si variano le proporzioni tra i vari cibi evolutivi in base all’ambiente e alle esigenze individuali, ma il punto è sempre e comunque il tipo di cibo più che il solito discorso proteine-carbo-grassi. Il cibo è molto di più di questo come già dimostrato, si parla di cibo vero contro cibo spazzatura. Siccome non abbiamo una roccia su cui è scolpito il menù giornaliero con le quantità esatte di cibo vero integro, significa che dobbiamo andare a mangiare la spazzatura? O significa che andremo ad accordare le quantità e la qualità del cibo vero-integro in base alle nostre reali esigenze che si resettano in modo naturale come gli altri esseri viventi? Il leone mangia il suo cibo a sazietà senza aver paura di contare calorie e fare la plicometria, così come i nostri predecessori e le tribù di cacciatori-raccoglitori ancora esistenti, e così dovremmo fare anche noi visto che apparteniamo alla loro stessa specie.
Le diete delle diverse popolazioni di cacciatori-raccoglitori odierne mostrano una elevatissima variabilità. (Jen Christiansen). Non possiamo viaggiare nel tempo e raggiungere i nostri antenati paleolitici davanti al fuoco mentre si apprestano a mangiare: cocci di antiche ceramiche e denti fossili possono dirci solo qualcosa. Tuttavia, se prendiamo in esame le diete di cosiddetti cacciatori-raccoglitori moderni, vediamo quanto sia difficile trovare fra di esse analogie significative e trarne indicazioni dietetiche utili. Quali tribù di cacciatori-raccoglitori dovremmo imitare, esattamente? Come conciliare la dieta degli Inuit, per lo più a base di carne di mammiferi marini, con la più varia dieta a base di vegetali e animali terrestri degli Hadza o dei !Kung?
Cos’hanno in comune? Non mangiano cibo al di fuori da quello specie-specifico (a parte gli Hiwi come vedremo in seguito), ossia latticini, cereali e legumi, né tanto meno cibo processato e inscatolato.
Questo è il punto di partenza, una dieta ricca di nutrienti e povera o assente di quello che la scienza ufficiale stessa di mainstream definisce come male: grassi saturi cattivi come l’acido palmitico, grassi idrogenati, tossine, allergeni e antinutrienti, sostanze cancerogene e diabetogene, calorie “vuote”. Una dieta ricca di proteine magre, bilanciata nelle varie tipologie di grassi, ricca di verdure che contengono vitamine, antiossidanti, sali minerali, fibre, ecc..
La natura ci mette a disposizione varie possibilità, ma noi siamo andati a pescare al difuori di queste possibilità e abbiamo distorto le leggi fondamentali che regolano la vita sulla Terra.
Mettere le diverse diete dei cacciatori-raccoglitori in un frullatore per trovare un qualche cocktail di eccellenza è un po’ ridicolo.
Invece non è ridicolo dare 300 Euro a un dietologo (anche lui sovrappeso il più delle volte) per farsi dare un menù da fame con 50 gr di pasta, farsi torturare da ore di jogging e non avere risultati e farsi dire che non ci siamo impegnati abbastanza o la genetica ce l’ha con noi?
“Troppo spesso i problemi di salute moderni sono presentati come il risultato del mangiare cibi ‘cattivi’ lontani dalla dieta umana naturale… E’ un approccio alla valutazione delle esigenze nutrizionali dell’uomo fondamentalmente sbagliato”, ha scritto Leonard. “La nostra specie non è stata progettata per sopravvivere con un’unica dieta ottimale. Una cosa notevole degli esseri umani è la straordinaria varietà di ciò che mangiano. Siamo stati in grado di prosperare in quasi tutti gli ecosistemi della Terra, consumando diete che spaziano da alimenti quasi completamente di origine animale tra le popolazioni dell’Artico a a quelle principalmente a base di tuberi e cereali tra le popolazioni della Ande.”
E stiamo quindi prosperando con la nostra dieta? L’emergenza sanitaria mondiale dice il contrario…
Studiando da vicino un gruppo di cacciatori-raccoglitori moderni, gli Hiwi, si scopre quante variazioni vi siano all’interno della dieta di un sola piccola società e si smonta l’idea che i cacciatori-raccoglitori abbiano una salute impeccabile. E si rende evidente l’immenso divario tra una vera comunità di cacciatori-raccoglitori e i cultori della dieta paleolitica, che vivono nelle città moderne, si dedicano a selettivi acquisti di prodotti agricoli e si assicurano che il condimento sulla loro insalata sia senza glutine, zucchero e latticini.
Negli allevamenti di bestiame vicini, a circa 30 chilometri di distanza, possono acquistare un po’ di riso, pasta, farina di mais e zucchero. Alcuni antropologi e turisti hanno anche donato agli Hiwi alimenti trasformati.
Gli Hiwi non sono particolarmente sani. Rispetto agli Ache, una tribù di cacciatori-raccoglitori del Paraguay, sono più bassi ed esili, più letargici e peggio nutriti. Gli uomini e le donne Hiwi di tutte le età lamentano costantemente di aver fame. Molti di loro sono pesantemente infettati da anchilostomi, parassiti che si annidano nell’intestino e si nutrono di sangue. E solo il 50 per cento dei bambini Hiwi sopravvive oltre i 15 anni.
Rispetto a più di 200 tribù di cacciatori raccoglitori veri studiati da Eaton, Cordain,ecc… sono andati a prendere un caso relativo ad una popolazione border-line confinata in un territorio angusto che mangia anche alimenti processati moderni. Come spiegato sopra ha poco a che fare con i veri cacciatori-raccoglitori Ache che godono di ottima salute. Infatti non c’è niente di peggio di un cambiamento repentino da una dieta e uno stile di vita puri a quelli occidentali. E’ stato ben documentato che la maggior “purezza” genetica sia in grave difficoltà a fronteggiare i cibi neolitici (vedi Indiani d’america, Maori, Inuit ecc..) anche in piccola percentuale, cibi per i quali noi abbiamo avuto 10000 anni per sviluppare una certa “tolleranza” (attenzione, come sovraesposto e spiegato alla nausea, a non confondere un certo livello di tolleranza con il fatto che si possa prosperare con una dieta composta prevalentemente da essi).
Perché non sono andati a vedere le oltre 200 VERE tribù esaminate da Cordain e soci?
Il prof. Cordain in una sua recente lezione
Se gli Hiwi hanno fame e non stanno bene, è colpa dell’uomo occidentale che li ha privati della loro terra e dignità, proprio come le popolazioni del Terzo Mondo costrette a vivere all’occidentale senza averne i mezzi adeguati.
In ultima analisi, indipendentemente dalla propria volontà, la dieta paleolitica è fondata più sui nostri privilegi che sulla logica. I cacciatori-raccoglitori del Paleolitico cacciavano e raccoglievano perché dovevano. I cultori della dieta paleolitica cercano di mangiare come i cacciatori-raccoglitori perché vogliono.
Si, perché vogliono essere sani ed evitare di finire al centro tumori, a prendere farmaci a vita e vivere con cateteri, bastoni, ecc… come la natura ha previsto per ogni essere vivente, il compiere il proprio ciclo di vita in modo efficiente.
-REFERENZE:
Giovanni Cianti – La dolce catastrofe, la nutrizione rifondata, Le radici dei Sapiens, Evo forever, A pranzo coi leoni, www.giovannicianti.org, www.evodiet.it
Loren Cordain – The Paleo Diet, www.thepaleodiet.com
African hominin stable isotopic data do not necessarily indicate grass consumption (Villalba, Carrera-Bastos, Cordain)
Implications of Plio-Pleistocene Hominin Diets for Modern Humans (Cordain)
Paleolithic nutrition: what did our ancestors eat? (Miller, Mann, Cordain)
Estimated macronutrient and fatty acid intakes from an East African Paleolothi Diet (Kuipers, Luxwolda, Jannecke Dijck-Brouwer, Eaton, Crawford, Cordain, Muskiet)
Fatty Acid Composition and Energy Density of Foods Available to African Hominids (Cordain, Watkins, Mann)
Cholesterol, coconuts and diet on Polynesian atolls: a natural experiment: the Pukapuka and Tokelau Island studies (Prior, Davidson, Salmond, Czochanska)
Food and western disease (S. Lindeberg)
The paleo cure (Chris Kresser)
Nutrition and physical degeneration (Price)