Meraviglioso reportage fotografico e scientifico recentemente pubblicato dal National Geographic proposto tradotto in italiano.
di Ann Gibbons (National Geographic)
Fotografie di Matthieu Paley
Traduzione: Angelo.
L’evoluzione della dieta.
E’ ora di cena in Amazzonia nelle pianure boliviane, e Ana Cuata Maito sta mescolando una polenta di platani e la dolce manioca sopra un fuoco fumante sul pavimento sporco della sua capanna di paglia. Ascolta la voce del marito mentre torna dalla foresta con il suo cane da caccia pelle e ossa.
Con una neonata attaccata al seno ed un bambino di circa sette anni che la tira per la manica, mi confessa che spera che suo marito, Deonicio Nate, riuscirà a portare un po’ di carne a casa per cena. “I bambini sono tristi quando non c’è carne“, lo dice Maito, attraverso un interprete, mentre scaccia via le zanzare.
Nate è partito per la caccia prima dell’alba in questo giorno di gennaio con il suo fucile ed il machete ed ha già affrontato due ore di trekking nella foresta. Lì ha silenziosamente scrutato il baldacchino per scimmie cappuccino marroni ed i coati, mentre il cane annusa il terreno per cercare tracce di pecari porcini o capibara bruni rossastri. Se fosse fortunato, Nate potrebbe individuare una delle fonti di carne principali che si trovano nel bosco: i tapiri, con i lunghi musi che frugano per gemme e germogli tra le felci umide.
Questa sera, però, Nate torna dalla foresta senza carne. A 39 anni, è un ragazzo energico che non demoralizza facilmente quando è a caccia o a pesca o tesse fronde di palma in pannelli per coprire il tetto, oppure è nel bosco a scavare una nuova canoa da un grosso tronco. Ma quando finalmente si siede a mangiare la polenta da una ciotola di metallo, si lamenta che è difficile cacciare abbastanza carne per la sua famiglia: due mogli (cosa non rara nella tribù) e 12 bambini. Gli spaccalegna spaventano gli animali e non può pescare sul fiume, perché una tempesta spazzato via la sua canoa.
La storia è simile per ciascuna delle famiglie che visito ad Anachere, una comunità di circa 90 membri dell’antica tribù indiana Tsimane. E’ la stagione delle piogge, quando è più difficile cacciare o pescare. Più di 15.000 Tsimani vivono sparsi in un centinaio di villaggi lungo due fiumi nel bacino amazzonico vicino alla città-mercato principale di San Borja, a circa 225 miglia da La Paz. Per raggiungere Anachere ci vuole un viaggio di due giorni da San Borja con una piroga motorizzata. Per questo i Tsimani che ci vivono ancora devono procacciarsi la maggior parte del cibo dalla foresta, il fiume, o dai loro giardini.
Sto viaggiando con Asher Rosinger, un dottorando membro di una squadra coordinata anche dall’antropologo biologico William Leonard della Northwestern University: studiano il Tsimane per documentare ciò che popoli, che lì vivono, normalmente mangiano. Sono particolarmente interessata al motivo per il quale la loro salute peggiori appena si allontanano dalla loro dieta tradizionale e dal loro stile di vita attivo ed iniziano a fare baratto con beni forestali per procacciarsi zucchero, sale, riso, olio, carne secca e sardine in scatola… La mia non è una indagine puramente accademica. Ciò che gli antropologi stanno imparando, studiando la dieta delle popolazioni indigene, come i Tsimane, potrebbe essere di estremo interesse per tutti noi per capire come realmente dovremmo nutrirci.
Rosinger mi presenta a un abitante del villaggio di nome José Mayer Cunay, di 78 anni, che, con il figlio Felipe Mayer Lero, di 39 anni, ha piantato un orto rigoglioso in riva al fiume nel corso degli ultimi 30 anni. José ci conduce lungo un sentiero ricco di alberi carichi di papaie e manghi dorati, grappoli di banane verdi, e sfere di pompelmo che pendono dai rami come orecchini luccicanti. Fiori di Heliconia stupendi che sembrano chele di aragosta, zenzero selvatico che cresce come erbacce tra steli di mais e canna da zucchero. “La famiglia di José ha più frutti di chiunque altro“, dice Rosinger.
Eppure nel rifugio a cielo aperto della famiglia, la moglie di Felipe, Catalina, sta preparando la stessa pappa dolce come la preparano nelle altre famiglie. Quando chiedo se il cibo nell’orto possa sostituire la carne quando se ne trova poca, Felipe scuote la testa. “Non è abbastanza per vivere,” dice. “Ho bisogno di cacciare e pescare. Il mio corpo non vuole mangiare solo queste piante“.
Se guardiamo al 2050, quando avremo necessità di alimentare due miliardi di persone in più di oggi, la questione di quale dieta sia la più perseguibile avrà assunto un’importanza fondamentale. I cibi che sceglieremo di mangiare nei prossimi decenni potranno provocare conseguenze drammatiche per il pianeta. In poche parole, una dieta che ruota intorno alla carne e ai latticini, un modo di mangiare che è in aumento in tutto il mondo in via di sviluppo, avrà un maggiore depauperamento sulle risorse mondiali di uno che ruota intorno cereali non raffinati, frutta a guscio e frutta e verdura.
Fino a quando l’agricoltura si è sviluppata circa 10.000 anni fa, tutti gli esseri umani si procacciavano il cibo con la caccia, la raccolta, e la pesca. Da quando l’agricoltura è stata introdotta, i cacciatori-raccoglitori nomadi via via sono stati scacciati via dalle terre coltivabili, ed oggigiorno si trovano in limitate zone delle foreste dell’Amazzonia, su alcune praterie aride dell’Africa, su alcune isole remote del sud est asiatico e la tundra dell’Artico. Praticamente solo poche sparute tribù sparse di cacciatori-raccoglitori sono rimaste sul pianeta.
Ecco perché gli scienziati stanno intensificando i loro sforzi per imparare quello che queste sparute tribù di cacciatori-raccoglitori mangiano e del loro stile di vita prima che scompaiano. “I cacciatori-raccoglitori non sono fossili viventi“, dice Alyssa Crittenden, un antropologo nutrizionale presso l’Università del Nevada, Las Vegas, che studia la dieta degli Hadza della Tanzania, alcuni degli ultimi veri cacciatori-raccoglitori. “Detto questo, abbiamo poco tempo ancora per studiare le popolazioni di cacciatori-raccoglitori che rimangono sul pianeta. Se vogliamo raccogliere tutte le informazioni su ciò che un nomade mangia e fa, abbiamo bisogno di farlo ora.”
Finora gli studi di raccoglitori come i Tsimane, gli Inuit e gli Hadza hanno scoperto che questi popoli, tradizionalmente, non sviluppano ipertensione, aterosclerosi, o malattie cardiovascolari. “Un sacco di gente crede vi è una discordanza tra ciò che mangiamo oggi e ciò che mangiavano i nostri antenati“, lo dice il paleo-antropologo Peter Ungar della Università dell’Arkansas. L’idea che siamo intrappolati in corpi dell’Età della Pietra in un mondo di fast-food sta istigando la mania attuale per le diete del Paleolitico. La popolarità di questi cosiddette diete del cavernicolo o diete Stone Age si basa sull’idea che gli esseri umani moderni siano gli stessi uomini del paleolitico che si sono evoluti nutrendosi di ciò che la caccia e la raccolta gli offriva per un periodo lunghissimo durato circa 2,6 milioni di anni rispetto all’inizio della rivoluzione agricola e che i nostri geni non hanno avuto abbastanza tempo per adattarsi agli alimenti coltivati.
Una dieta dell’età della pietra “è l’unica dieta che si adatta perfettamente il nostro corredo genetico“, scrive Loren Cordain, un nutrizionista evolutivo presso Colorado State University, nel suo libro “La dieta Paleo”. Cordain, dopo aver studiato le diete dei cacciatori-raccoglitori attuali ha concluso che il 73% di queste società ottiene più della metà dei loro calorie dal consumo di carne. Cordain in pratica consiglia di mangiare molta carne magra e pesce, ma non latticini, fagioli, o cereali, questi ultimi, alimenti introdotti nella nostra dieta dopo l’invenzione della cottura e l’agricoltura. I sostenitori della Paleo-dieta, come Cordain, dicono che se ci atteniamo agli alimenti di cui si nutrivano i nostri antenati cacciatori-raccoglitori potremmo evitare le malattie della civiltà, come le malattie cardiocircolatorie, la pressione alta, il diabete, il cancro e persino l’acne.
Sembra interessante. Ma è vero che saremmo tutti evoluti per una dieta carne-centrica? Alcuni paleontologi che studiano i fossili dei nostri antenati e antropologi che documentano le diete dei popoli indigeni di oggi dicono che la situazione sarebbe è un po’ più complicata. La popolarità di una dieta Paleo, Ungar ed altri sottolineano, si baserebbe su una serie di idee sbagliate.
In foto: gli Hadza della Tanzania sono tra gli ultimi cacciatori-raccoglitori del mondo. Vivono di quello che trovano: selvaggina, miele e piante, compresi i tuberi, frutti di bosco ed il frutto del baobab.
La carne ha effettivamente svolto un ruolo da protagonista nell’evoluzione della dieta umana. Raymond Dart, che nel 1924 ha scoperto il primo fossile di un antenato umano in Africa, ha reso popolare l’immagine dei nostri primi antenati che cacciavano selvaggina per sopravvivere sulla savana africana. Nel 1950, ha descritto questi esseri umani come “creature carnivore, che violentemente cacciano… placano la loro sete vorace con il sangue caldo delle vittime divorando avidamente la carne livida che ancora si contorce“.
Mangiare carne è considerato da alcuni scienziati essere stato un fattore cruciale per l’evoluzione di cervelli più grandi dei nostri antenati di circa due milioni di anni fa. La carne ed il midollo osseo che succhiavano dalle ossa di carcasse, sono molto più dense di calorie rispetto alla dieta molto più povera che facevano quando erano praticamente solo scimmie. Il nostro diretto antenato, l’Homo Erectus, ha iniziato ad assumere energia supplementare ad ogni pasto per alimentare un cervello più grande. Gestire una dieta di qualità superiore e meno ingombrante di fibra vegetale avrebbe permesso questi esseri umani di avere più coraggio anche se molto più piccoli. L’energia liberata a seguito di budella più piccole potrebbe essere stata utilizzata con più efficienza dal cervello. Secondo Leslie Aiello, che per primo propose l’idea con paleoantropologo Peter Wheeler. Il cervello richiede il 20% dell’energia totale basale di un essere umano; in confronto, il cervello di una scimmia richiede solo l’8%. Ciò significa che dall’avvento dell’Homo Erectus, il corpo umano è stato costretto ad adottare una dieta, soprattutto carnea ad alta densità energetica.
Ora facciamo un salto in avanti di un paio di milioni di anni a quando la dieta umana ha avuto un’altra svolta cruciale con l’invenzione dell’agricoltura. La domesticazione di cereali come il sorgo, l’orzo, il frumento, il mais ed il riso e ha ottenuto un approvvigionamento di cibo abbondante e prevedibile, consentendo alle mogli degli agricoltori di partorire bambini in rapida successione, uno ogni 2,5 anni anziché uno ogni 3,5 anni per i cacciatori-raccoglitori. Un’esplosione demografica seguita, in poco tempo, ad un aumento demografico delle popolazioni degli agricoltori rispetto a quelli dei cacciatori-raccoglitori.
Negli ultimi dieci anni gli antropologi hanno lavorato duramente per rispondere a domande chiave su questa transizione. L’agricoltura è stato un chiaro passo in avanti per la salute umana? O, viceversa, nell’abbandonare la caccia e la raccolta a favore delle colture e del bestiame, abbiamo rinunciamo ad una dieta più sana ed un corpo più forte in cambio di sicurezza alimentare?
Quando antropologo biologico Clark Spencer Larsen dell’Ohio State University descrive l’alba dell’agricoltura, lo fa con toni cupi. Mentre i primi agricoltori diventarono dipendenti da colture, le loro diete sono diventati molto poco diversificate nutrizionalmente rispetto alle diete dei cacciatori-raccoglitori. Mangiare lo stesso grano addomesticato ogni giorno ha “regalato” ai primi agricoltori la carie e malattia parodontale che raramente si trova nei cacciatori-raccoglitori, dice Larsen. Quando i contadini iniziarono ad addomesticare gli animali, i bovini, gli ovini ed i caprini ed ottennero fonti di latte e carne, ma anche un bel po’ di parassiti e nuove malattie infettive. Gli agricoltori soffrivano di carenza di ferro e ritardi di sviluppo, il che ha gradualmente ridotto persino la statura media.
Nonostante il forte incremento demografico, lo stile di vita e la dieta dei contadini non era chiaramente sano come lo stile di vita e la dieta dei cacciatori-raccoglitori. Il fatto che gli agricoltori abbiano generato più bambini, aggiunge Larsen, è semplicemente la prova che “non c’è bisogno di essere sani per avere figli“.
In foto: gli Inuit della Groenlandia sono sopravvissuti per generazioni mangiando solo carne in un ambiente inospitale per la maggior parte delle piante. I mercati odierni offrono più varietà, ma la preferenza per la carne persiste.
Seconda ed ultima parte, di prossima pubblicazione
Riferimento:
http://www.nationalgeographic.com/foodfeatures/evolution-of-diet/
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