Con ricetta Salmì paleo di anatra e faraona allo spino nero, salsa di corniole e meline selvatiche secche
By Massimo Pandolfi, alias “Bistecca Mammuth” – Versione 27 Dicembre 2014
Seconda Parte
La descrizione gastronomica del Paleosalmì di anatra e faraona alle erbe odorose e ai dimenticati frutti di bosco viene realizzata, con una introduzione alla cucina “neanderthaliana”, vale a dire paleolitica, in occasione della bella cena, preceduta da interessante Tavola Rotonda il 10 di Ottobre del 2014: “Paleo, una filosofia di vita” presso la sede di ValdericArte nei pressi di Lamoli.
Ricetta di NEANDERTHAL per la Paleocena di Valderica
Preparazione della ricetta Paleo a Vald’Erica. Per 20 persone
Le piante, le carni e le specie utilizzate
Le Carni
1 e ½ anatre mute, grandi, da 2.200g
2 faraone da 1.600g
½ pollo nostrano di fattoria circa 900g
300g di guanciale o 400g pancetta di maiale stesa fresca
Cuore, maghetti, colli, zampe (non di anatra, troppo “magre”, no fegati, sapore troppo “deciso”)
Il tutto per circa 7-8kg di carne
I Frutti
Prugnole, Prunus spinosa, fresche e secche, circa 50 cc di salsa di prugnole
Corniole, Cornus mas, secche e circa 150g di salsa di corniole
Mele inselvatichite in fettine secche
Mele Abbondanza secche e qualche fettina fresca
Gli Odori
Rosmarino, Salvia, Santoreggia montana, Alloro, Aglio, Cipolla, Pepe nero macinato (nel Paleolitico semini di Nigella damascena), Poco peperoncino tipo Thai fresco
I Condimenti
Olio di oliva extravergine 1 bicchiere, circa 100cc (nel Paleo, battuto di grasso di cinghiale? Ottimo per l’oggi il lardo macinato con odori di erbe di Cinta senese di Calbianchino)
Vino per marinata e per tirare
2 cucchiai di melata
Brodo di carne, 2-3 litri
Sale q.b.
Noterelle sui frutti seccati: i frutticini di prugnolo secco vanno ammollati almeno dal giorno prima. Un’oretta prima dargli un discreto e breve bollore e tenere l’acqua di ammollo che servirà a cuocere dolcemente le carni. Stesso trattamento, forse un po’ ridotto nel tempo, 8-10 ore, per le corniole secche che, prima di usarle, possono essere messe a rinvenire in acqua calda.
Sulle salse di corniole e prugnoli. Vedere la loro preparazione in altra parte delle ricette neanderthaliane. Danno molto sapore e profumo. Vale la pena averne da parte in vasetto o in freezer.
Ambiente di preparazione e cottura
Cucine fumose, erbe aromatiche: timo, maggiorana, salvia appesi nel solaio, profumo erbe e il caldo della cucina al fuoco di legna odorosa che scoppietta nel camino In una vecchia casa di pietra come il “Castello” di Valderica, in mezzo all’Appennino. Fuori la piccola dispensa dello sgabuzzino che dà sul giardino dove svernano i frutti selvatici secchi, le composte, le mele rosa e le pere d’inverno.
Ricordando le vecchie ricette tradizionali e le cose un po’ strane delle cucine di quei tempi, con un certo anticipo, il giorno dopo S. Silvestro ho pensato per il Paleo di riesumare una preparazione antica in salmì simile all’anatra ai frutti selvatici già proposta qualche tempo fa:
La faraona e le anatrelle sono accompagnate da ciò che poteva esserci in una casa del ‘900 dei nostri paesini dell’Appennino, tra Apecchio e Carpegna, nel pieno dell’inverno, quando la dispensa fredda, quella all’aperto, è ricca di composte di frutta, piante odorose in mazzetti, trecce d’aglio, cipolle, frutti secchi e quella frutta che un tempo veniva conservata in solaio fino alla primavera, dalle mele di campagna, la mela rosa, la mela ruggine che durava mesi, la pera volpina o la perina d’inverno, le profumate mele cotogne che fino all’inverno inoltrato non perdono il loro oro.
Agli odori tradizionali, rosmarino, salvia, aglio, alloro (l’alloro, Laurus nobilis,è pianta autoctona anche nelle zone alte dell’Appennino, in vallette riparate e preferibilmente a substrato calcareo) ho aggiunto i frutti selvatici di bosco locali, le prugnole secche ma anche fresche di questi tempi, delle corniole raccolte sotto il Carpegna quest’estate e che avevo provvidenzialmente seccato oltre ad averne fatto alcuni, pochi barattolini di salsa, le fettine di mela inselvatichita e avrei potuto anche le piccole perine d’inverno, Pera volpina, messe a riposare in dispensa ma che ancora si trovano al mercato delle erbe di Pesaro.
E… ripensando a quella delizia apecchiese che è il “salmì del prete”, ho pensato di allungare i tempi di preparazione e cottura fino a 3/4 giorni per avere un prodotto simile alla mitica ricetta dei canonici… Ho anche usato due carni di base: quella della faraona che bene simula la rossa carne degli uccelli selvatici e l’anatra domestica simile nel gusto alle selvatiche, con l’aggiunta di mezzo pollo ruspante dalle carni un po’ durette, e ci sta, e saporite. Ne è venuto fuori un prodotto assolutamente unico, tanto da stupire ed entusiasmare, con mia grande soddisfazione, i diversi paleolitici presenti.
Queste carni miste, stavolta di faraona, anatra e pollo ruspante (ma ci sarebbero stati bene anche 2 piccioncini tagliati a quarti…) accompagnata dai prodotti aromatici tradizionali dell’antica cucina sono, appunto, una tradizione delle case di un paese appenninico d’inverno. Preparazione dai tempi lunghi, da farsi con quella passione e cura che ricorda il passato. Quello dei tempi delle case di pietra dell’Appennino sotto la neve, ma anche … giù, giù fino ai bivacchi invernali delle rade genti del paleolitico italiano anche pesarese, 6-7.000 anni fa, quando qui il clima era appena più caldo di oggi, un po’ più arido e con foreste di ombrosi lecci anche sulle montagne.
Nella sua esecuzione, più semplice come ingredienti, ma egualmente laborioso come tempi, almeno 3 giorni, ricorda il marchigiano e “ghiottonesco”, cioè dai “Ghiottoni” di Fabio Tombari, piatto mitico dell’alto pesarese (e dell’Appennino centrale, penso) che oggi è possibile ancora gustare, ormai su prenotazione, in qualche ristorante di Apecchio, la mitica Ghighetta o l’Hotel Appennino, vetusto, in pietra, a buon mercato e appollaiato nella piazza alta del paese vecchio di Apecchio. Il piatto è ancora fatto, semel in anno, e soprattutto quando c’è tempo in casa come nelle feste natalizie o pasquali, anche nelle case dei vecchi apecchiesi che ben ricordano lo stupore e la delizia di questa ghiottoneria di carne.
Torniamo ora al nostro moderno e ricostruito salmì paleolitico con erbe odorose e frutti selvatici quasi dimenticati ma ancora disponibili nei nostri boschi e nelle nostre siepi.
Preparazione delle carni
La carni vanno tagliate a pezzi mediamente grandi, con cuore e maghetto ma escluso fegato (se non piace particolarmente, anche perché dà un tocco di amaro al sugo). Vanno comunque mantenuti collo e zampe (nella passata cucina tradizionale di casa si usavano ed erano molto apprezzati). Sia della faraona che dell’anatra va assolutamente tenuta la pelle che deve essere ben rosolata all’inizio. Un po’ di grasso si può togliere se si vuole tenere più magro il piatto, altrimenti una parte può essere tolta e questi pezzettini di grasso giallo vanno tagliati a tocchetti e fatti ben rosolare all’inizio con il guanciale.
Guanciale, io ho usato quello molto saporito di Cinta senese di Carlo e Gigia dell’allevamento di Gadana, va rosolato a pezzi di uno-due centimetri.
Prima della rosolatura va fatta una bella marinata di un giorno con gli odori tagliati fini e olio di oliva extra vergine ma stavolta senza vino e senza aceto.
Preparazione degli odori e dei frutti antichi
Rosmarino e salvia (freschi meglio, ma anche secchi) vanno battuti finemente mentre l’alloro si può mettere a foglie, poche, da togliere prima di servire.
Durante la cottura possono essere messi rametti apicali di rosmarino e di salvia ma fanno tolti a metà cottura anche per evitare la dispersione delle foglioline del rosmarino. Altrimenti legarli in mazzetto con filo di cotone.
Tra i frutti selvatici qui ho usato prugnoli (Prunus spinosa) e cornioli (Cornus mas) secchi e le meline erano quelle di alberi semiselvatici, tagliate a fettine e seccate. Usate anche, delle piccole rosse di polpa mele Abbondanza oltre alle secche qualche fettina fresca.
Far rinvenire per qualche ora prugnoli e cornioli. I prugnoli rinvengono con difficoltà quindi è bene dargli una leggera bollitura a fuoco lento per una mezz’oretta. I cornioli ammollati per diverse ore non ne hanno bisogno.
Preparazione del piatto
Preparare 2–3 litri di brodo di gallina, a parte.
Scegliere una padella larga dal bordo alto. Tagliare a grosse fettine il guanciale mantenendo la cotica che da cotta sarà morbida e saporita.
Versare qualche cucchiaio d’olio in padella e fare soffriggere il guanciale. Tirare un po’ con vino bianco fino a quando il guanciale non è rosolato.
Disporre i pezzi di anatra e faraona presi dalla marinatura con la pelle verso il fondo per la prima rosolatura, girare e passare vino bianco. Metterci, come detto, anche zampe e collo. Fare andare girando i pezzi a rosolare. Salare e pepare.
Mettere il rametto di rosmarino, di salvia, di santoreggia e le foglie di alloro.
Mettere quindi cipolla affettata fine, aglio, e le fettine di mela.
A questo punto prendere le corniole e le prugnole dall’ammollo e versarle in pentola.
Aggiungere vino bianco e fare andare fino a quando non rosola in olio e quindi versare il brodo già caldo e coprire carne e frutti selvatici. Fare andare a fuoco lento per un’ora o più fino a quando la carne della faraona non sia ben cotta e tenera e il liquido asciugato a olio.
Quando il tutto sarà tirato, in finale, metterlo in pentola alta, coprire di brodo e fare riposare per almeno un giorno in frigo per una sorta di marinatura.
Il giorno dopo, fare andare per un po’ il tutto in pentola per continuare a cuocere la carne e renderla tenera fino a che quasi non si stacchi dalle ossa… Quando il liquido si sarà abbassato a tre quarti ri-trasferire la preparazione in pentola larga per l’ultima cottura fino a quando l’olio non sarà chiaro … la carne sarà scura (per prugnoli, cornioli e altri odori), tenerissima che quasi si disfa, il sapore intenso e va servito non caldissimo, lasciarlo infatti riposare una decina di minuti e poi servire. Qualche fetta di pane casareccio, anche raffermo, non guasterà per raccogliere il sontuoso intingolo.
Note sugli ODORI utilizzati. Per la marinata e per la cottura.
(Con note paleobotaniche per gli amanti della Paleodieta odierna)
Aglio, Allium sativum. L’Aglio domestico non era presente 10.000 anni fa provenendo dal Nord dell’Asia, ma in Paleo diversi agli selvatici erano presenti in zona, dall’ Allium ursinum all’Allium triquetrum oltre a tanti altri agli selvatici mediterranei: Allium roseum, Allium ampeloprasum etc. ).
Cipolla, Allium cepa. La cipolla coltivata è di origine africana e quindi non era disponibile per i nostri Paleolitici dell’Appennino, ma noi potevamo usare tranquillamente Allium schoenoprasum, l’Erba cipollina, con un discreto bulbo, dal sapore simile e molto diffusa in tutta Italia.
Rosmarino, Rosmarinus officinalis. Il rosmarino è pianta mediterranea spontanea di ambienti caldi e poteva essere presente anche in questa zono pedemontana nel piccolo periodo caldo di 6-8.000 anni fa quando i boschi circostanti erano più ombrose leccete (Quercus ilex) che non querceti aridi a Roverella (Quercus pubescens) come oggi. In qualche recesso microclimatico caldo arido certamente si sarà mantenuto fino a poco tempo fa, come i corbezzoli (Arbutus unedo) della Gola del Furlo. E i nostri locali cacciatori-raccoglitori se pur coevi con i primi Neolitici non potevano non averlo sfruttato in cucina.
Alloro, Laurus nobilis. Per la marinata. Specie di clima mediterraneo. Oggi spontaneizzata dalla costa alla montagna potrebbe sembrare esclusa dalla cucina Paleo locale ma … l’alloro nativo è ancora presente in valli e vallette calcaree, calde, con esposizioni occidentali. Quindi come deciso sapore perfettamente utilizzabile anche dai nostri Paleo di 10.000 anni fa nella preparazione della marinata di questo piatto.
Santoreggia montana, Satureja montana. Per la marinata. Diffusissima su substrati calcarei, dall’intenso profumo simile alla coltivata Satureja ortensis, grandi pulvini sulle scarpate e pendici aride e sassose. Foglioline un po’ pungenti per mucroncino apicale ma deliziosa per insaporire le carni.
Buon Appetito!