AUTORE ANONIMO.
Sommario
1 – L’ASPIRINA E LA MORTALITÀ DURANTE LA PANDEMIA DELLA “INFLUENZA SPAGNOLA”.
2 – “INFLUENZA SPAGNOLA” E MORTALITÀ DA SOVRA-INFEZIONI BATTERICHE.
3 – “INFLUENZA SPAGNOLA”, UN POSSIBILE RUOLO DELLA TUBERCOLOSI?.
4 – UN QUOTIDIANO IRLANDESE DENUNCIA IL RUOLO NEGATIVO DEI VACCINI NELLA “PANDEMIA DI INFLUENZA SPAGNOLA”.
5 – L’USO DEI VACCINI INTORNO AL 1918.
1 – L’ASPIRINA E LA MORTALITÀ DURANTE LA PANDEMIA DELLA “INFLUENZA SPAGNOLA”
Un articolo scientifico mostra con abbondanza di dati e di riferimenti scientifici come la grande mortalità della “pandemia influenzale spagnola” sia stata presumibilmente dovuta ad un abuso dell’aspirina.
A ulteriore dimostrazione che storicamente i danni delle “pandemie” sono dovuti a una pessima gestione sanitaria e protocolli sbagliati. Ricordo per altro che l’epidemia fu chiamata “spagnola” perché in Spagna (paese non belligerante) c’era abbastanza libertà di stampa per potere mostrare la diffusione di questa patologia, mentre i paesi in guerra mentivano spudoratamente e cercavano per quanto possibile di nascondere l’esistenza dei focolai.
In sintesi nel 1918 furono raccomandate dosi di aspirina che adesso sono notoriamente tossiche, che possono causare edema polmonare, indebolire l’organismo e predisporre a infezioni batteriche[1]. Del resto l’aspirina è stato uno dei primi antipiretici della storia, farmaci che abbassano la febbre, ovvero che bloccano uno dei mezzi con cui l’organismo potenzia l’attività del proprio sistema immunitario[2].
Nell’articolo viene riportato anche come fosse minima la mortalità dei pazienti che si rivolgevano a quei medici che consideravano l’aspirina una sostanza dannosa.
Traduzione dell’articolo Salicylates and Pandemic Influenza Mortality, 1918-1919 Pharmacology, Pathology, and Historic Evidence, Pubblicato su Clinical Infectious Diseases. 2009 Nov 1;49(9):1405-10, autrice Karen M Starko; https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/19788357/, https://academic.oup.com/cid/article/49/9/1405/301441.
Salicilati e mortalità influenzale pandemica, 1918-1919 Farmacologia, patologia e prove storiche
Riassunto L’alto tasso di mortalità – specialmente tra i giovani adulti – durante la pandemia di influenza del 1918-1919 è stato compreso in modo incompleto. Sebbene i decessi tardivi mostrassero una polmonite batterica, i decessi precoci presentavano polmoni estremamente “umidi”, talvolta emorragici. L’ipotesi qui presentata è che l’aspirina ha contribuito all’incidenza e alla gravità della patologia virale, dell’infezione batterica e della morte, perché i medici di quell’epoca non erano a conoscenza del fatto che i regimi utilizzati (8,0-31,2 g al giorno) producono livelli associati con iperventilazione ed edema polmonare[3] nel 33% e nel 3% dei destinatari, rispettivamente. Recentemente, l’edema polmonare è stato riscontrato dall’autopsia nel 46% dei 26 adulti intossicati dal salicilato. Sperimentalmente, i salicilati aumentano i livelli di liquido polmonare e proteico e compromettono la depurazione muco-ciliare[4]. Nel 1918, l’US Surgeon General[5], la marina militare USA, e il Journal of the American Medical Association[6] raccomandarono l’uso dell’aspirina poco prima del picco di morti verificatosi ad ottobre. Se sono state seguite queste raccomandazioni e se si è verificato un edema polmonare nel 3% delle persone, una percentuale significativa dei decessi può essere attribuibile all’aspirina.
Nel febbraio del 1919 … la febbre di Edward continuava a crescere sempre di più … l’aspirina … gli veniva somministrata più e più volte … Edward sudava attraverso il suo materasso … Il dottor … non poteva salvare il suo paziente.
—Clella B. Gregory, Storybook sull’influenza pandemica, Ministero della salute e dei servizi umani degli Stati Uniti [ 1 ]
La mortalità è stata causata da 2 sindromi clinico-patologiche sovrapposte: una condizione precoce, grave come una sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), che si stima abbia causato il 10% -15% dei decessi (mancano le serie sequenziali di autopsia) [ 3 )]; e una successiva “superinfezione” di polmonite batterica aggressiva, che era presente nella maggior parte dei decessi [ 4 , 5 ].
I fattori che hanno contribuito alla gravità della malattia e della morte (p. Es., Patogenicità virale, colonizzazione batterica, risposta immunitaria, fumo, condizioni preesistenti e trattamento) rimangono da chiarire. Di maggior interesse sono quelli suscettibili di intervento, perché la paura di un’altra pandemia influenzale simile a quella del 1918 guida oggi la pianificazione di una risposta a una prossima pandemia.
Studi recenti suggeriscono una maggiore patogenicità di alcuni virus influenzali e risposte anormali dell’ospite immunitario. Il virus dell’influenza H1N1 del 1918, in contrasto con un virus dell’influenza H1N1 umana convenzionale (A / Kawasaki / 173/01), infettò il tratto respiratorio inferiore, produsse difficoltà respiratoria acuta[7] (…)
Tuttavia, è improbabile che il solo virus e le risposte immunitarie siano state responsabili delle morti del 1918. Come recentemente esaminato da Brundage e Shanks [ 4 ], la maggior parte delle persone presentava una malattia auto-limitata con tassi di mortalità dei casi minore del 2%, e i tassi di mortalità differivano ampiamente tra le popolazioni. Nell’autunno del 1918, i tassi di morte e quelli di mortalità per influenza variavano rispettivamente dallo 0,58% al 3,3% e dal 2,1% al 10%, nei 12 campi dell’esercito americano con più di 10.000 casi di influenza o polmonite ciascuno [ 9 , 10 ]. Gelo [ 2] ha osservato che l’ampia variazione dei tassi di mortalità tra le città, alcune delle quali vicine tra loro, non è stata spiegata da clima, densità di popolazione, misure preventive o altre caratteristiche ambientali. (…) Allo stesso modo, l’insolito tasso di mortalità tra i giovani adulti rimane inspiegabile. Come spiegazione è stato suggerito l’uso del salicilato [ 3 , 11 , 12 ] e sono stati riscontrati tassi di mortalità aumentati nei furetti esposti a influenza, aspirina e una dieta carente di arginina (…)
L’ipotesi qui presentata è che la terapia con salicilato per l’influenza durante la pandemia del 1918-1919 abbia provocato tossicità ed edema polmonare, che hanno contribuito all’incidenza e alla gravità di casi all’inizio simili all’ARDS, e successivamente all’infezione batterica e alla mortalità generale. I dati di farmacocinetica, che non erano disponibili nel 1918, indicano che i regimi di aspirina raccomandati per l ‘”influenza spagnola” predispongono a una grave tossicità polmonare.
Una confluenza di eventi ha creato una “tempesta perfetta” per la tossicità diffusa del salicilato. La perdita del brevetto di Bayer sull’aspirina nel febbraio 1917 permise a molti produttori di entrare nel redditizio mercato dell’aspirina. Le raccomandazioni ufficiali per la terapia con aspirina a dosi tossiche furono precedute dall’ignoranza delle insolite cinetiche non lineari[8] del salicilato (sconosciute fino agli anni ’60), che predispongono all’accumulo e alla tossicità; lattine e bottiglie che non contenevano avvertimenti e poche istruzioni; e la paura dell’influenza “spagnola”, una malattia che si stava diffondendo come un incendio.
Più recentemente, i decessi per influenza sono stati attribuiti al salicilato. Dagli anni ’50 agli anni ’80, migliaia di decessi tra i bambini a seguito di influenza e altre infezioni (ad es. Sindrome di Reye) non sono stati spiegati fino a quando gli studi non hanno identificato l’aspirina come il principale contribuente [ 14-16 ], e la presenza degli avvertimenti sull’etichetta dell’aspirina è stata seguita da una scomparsa di questa manifestazione [ 17 ]. La tossicità della sindrome di Reye (vomito, iperventilazione, delirio e coma, con gonfiore cerebrale e grasso nel fegato e tubuli renali prossimali) si sviluppa dopo 4 giorni di terapia con salicilato [ 14 ] con dosi giornaliere medie riportate di 25 mg / kg [ 18 ] . (Gli adulti con tossicità da salicilato si presentano principalmente con coscienza anormale e difficoltà respiratoria [ 19]. Inoltre, una recente fatalità associata all’influenza aviaria A ha coinvolto la sindrome di Reye e l’uso di aspirina [ 20 ] e diverse autopsie di persone che avevano l’influenza aviaria hanno rivelato polmoni emorragici, alterazione grassa del fegato e reni ingrossati [ 21 ] coerenti con intossicazione da salicilato .
Quattro linee di evidenza supportano il ruolo dell’intossicazione da salicilato nella mortalità influenzale del 1918: farmacocinetica, meccanismo d’azione, patologia e l’ondata di raccomandazioni ufficiali per i regimi tossici di aspirina immediatamente prima del picco di morte dell’ottobre 1918. (I granuli di aspirina utilizzati nei testi più vecchi vengono convertiti in milligrammi come segue: 1 grano equivale a 65 mg).
I regimi di assunzione aspirina (dose e calendario) raccomandati nel 1918 sono ora noti per produrre regolarmente tossicità
Nel 1977, una commissione della Food and Drug Administration [ 22 ] degli Stati Uniti ha raccomandato che la dose giornaliera massima sicura di aspirina per la popolazione generale fosse di 4.000 mg, con una dose oraria media di 167 mg/h, e che “i regimi di dosaggio eccedenti questo il dosaggio giornaliero totale o la dose oraria media offrono un rischio significativamente maggiore senza un beneficio terapeutico compensativo ”(p 35360). Come esempio dell’insolita cinetica non lineare del salicilato, il gruppo di esperti scientifici ha osservato come le simulazioni mostrassero che, dopo aver aumentato la dose da 2 a 4 g al giorno (somministrati ogni 6 h), “la quantità totale di farmaco nel corpo allo stato stazionario aumenta da 1,3 grammi a 5,3 grammi, con un aumento del 400%”.
(…)
All’inizio del 1900, i medici che trattavano condizioni gravi (p. Es., La febbre reumatica) generalmente “spingevano” il salicilato fino alla comparsa di tossicità e quindi indietreggiavano [ 24 ]. Nel 1918, le raccomandazioni posologiche per l’influenza pandemica erano simili a quelle in regime ospedaliero ad alte dosi, tranne per il fatto che le raccomandazioni per l’influenza generalmente non offrivano istruzioni per l’aggiustamento della dose in caso di tossicità.
Lo storico rapporto French del 1920 per il Ministero della Salute britannico [ 25 ] sulla pandemia afferma che la dose di aspirina era “15-20 grani” (975-1.300 mg). Nessuna frequenza è stata data. Un medico di Londra “inzuppò” il suo paziente di salicina: 20 grani (1300 mg) ogni ora per 12 ore senza sosta [ 26 ]. Altri hanno suggerito il salicilato di sodio, 6 grani (390 mg) nel giro di 3 ore per diversi giorni [ 27 ]. L’aspirina è stata raccomandata per l’edema polmonare [ 28 ]. Il 26 settembre 1918, la Marina degli Stati Uniti raccomandò un catartico e 5 grani (325 mg) di aspirina, avvertendo contro grandi dosi [ 29 ]. Tuttavia, il testo Materia Medica della Marina dichiarò che la dose massima era di 1.300 mg [ 30 ]. Il 5 ottobre 1918 il Journal of American Medical Association [ 31 ] ha raccomandato l’aspirina scrivendo: “L’acido acetilsalicilico può essere somministrato in un dosaggio di 1 gm. (15 grani) ogni tre ore … o una dose più piccola combinata con 0,1 gm. (2 grani) di acetofenetidina, fino a quando non viene assicurato il sollievo sintomatico” (p 1137). Queste dosi raccomandate (1.000-1.300 mg), con frequenze che vanno da ogni ora a 3 ore, con conseguenti dosi giornaliere di 8–31,2 grammi, sono superiori alla dose massima sicura definita sopra e porterebbero ad accumulo, come indicato di seguito.
Cenni di farmacocinetica insolita e di variazione della risposta individuale sono stati notati prima della pandemia ma in gran parte ignorati. Nel 1906, Langmeade [ 32 ] osservò “una grande variazione della quantità richiesta” (p 1824) affinché si sviluppasse tossicità e riferì di un bambino ricoverato in ospedale (che riceveva 325 mg ogni 6 ore) che, al quarto giorno, sviluppò vomito, febbre, dispnea, cianosi e coma, e morì. Egli ha raccomandato cautela all’inizio del trattamento, in maniera tale che “il fattore personale possa essere stimato”. Nel 1913, Hanzlik [ 24] ha studiato le registrazioni di 400 persone ricoverate in ospedale trattate con un regime comune, 10-20 grani di un salicilato ogni ora con bicarbonato di sodio fino a quando si è manifestata tossicità (mal di testa, nausea, acufene o sordità, delirio o allucinazioni). Ha scoperto che la dose tossica media di aspirina per i maschi era di 165 grani (10,725 mg), una probabile sopravvalutazione, poiché il bicarbonato di sodio migliora notevolmente l’escrezione di salicilato. La dose tossica di salicilato sintetico nei maschi variava da 1,300 a 31,200 mg.
Lo sviluppo di test per misurare il salicilato nel sangue negli anni ’40 ha permesso ad Alvin F. Coburn [ 33 ] della Marina degli Stati Uniti, mentre studiava la febbre reumatica, di scoprire che una dose di 10 g al giorno portava a livelli medi (su 9 adulti) di 36 mg/dL al terzo giorno di trattamento. Nel 1948, Graham e Parker [ 34] sono stati tra i primi a correlare il livello di salicilato nel sangue con sintomi di tossicità. In primo luogo, dopo aver studiato 58 individui, hanno trovato una notevole variazione nel livello in cui si sono sviluppati i sintomi, come vomito (16,3-38,6 mg / dL), iperventilazione (21-44,2 mg / dL), edema polmonare (49,4 mg / dL), e dispnea grave (46–53,6 mg / dL). Hanno anche studiato 33 pazienti che hanno raggiunto livelli di 35 mg/dL durante i primi 7 giorni di terapia e hanno riscontrato le seguenti gravi tossicità: iperventilazione (nel 33%), vomito (nel 30%), marcata sudorazione (nel 12%), mal di testa (nel 12%) sonnolenza grave (nel 12%), confusione (nel 6%), dispnea grave (nel 6%), eccitazione (nel 6%), epistassi (nel 6%), vertigini (nel 3%), edema polmonare (nel 3%) ed emorragia (nel 3%). L’incidenza di queste tossicità può essere più elevata, poiché la somministrazione è stata interrotta quando si è verificata l’iperventilazione. In uno studio retrospettivo [35 ] di 56 adulti con intossicazione da salicilato (con intossicazione definita come picco di salicilato maggiore di 30 mg/dL) hanno riscontrato 6 pazienti (11%) con edema polmonare non cardiogeno[9]. Per gli adulti di età maggiore di 30 anni, l’incidenza dell’edema polmonare non cardiogeno è stata del 35%. È interessante notare che nessuno dei 55 pazienti pediatrici intossicati consecutivi presentava edema polmonare.
Negli anni ‘60, gli scienziati hanno scoperto perché la tossicità si manifesta con un’intensa terapia con aspirina: i salicilati hanno caratteristiche farmacocinetiche insolite e complesse che predispongono all’accumulo, rendendo sia la dose che il programma di dosaggio criticamente importanti. Nel 1965, Levy [ 36 ] mostrò che, quando la quantità di farmaco nel corpo raggiunge circa 360 mg, l’emivita aumenta mentre l’eliminazione cambia di un ordine di grandezza. Successivamente, Bardare et al. [ 37 ], che hanno studiato i bambini, hanno osservato emivite di circa 5 ore alla dose di circa 50 mg/kg al giorno (3.500 mg in una persona di 70 kg), di circa 15 ore a dosi di 75–95 mg/kg al giorno e di circa 40 ore a dosaggi maggiori di 100 mg/kg al giorno. Somministrare dosi a intervalli pari all’emivita o meno, porta ad un accumulo.
Oltre al metabolismo saturabile descritto da Levy e colleghi [ 36 , 38 , 39 ], l’accumulo di salicilato può verificarsi per altri motivi, tra cui una variazione individuale del tasso di eliminazione [ 38 ], la riduzione dell’escrezione renale [ 40 ] e il basso pH delle urine [ 41 ]. Dosi più elevate, come menzionato sopra, rallentano l’eliminazione [ 42 ] e aumentano il volume di distribuzione [ 43 ]. L’acidosi [ 44 ] e l’ipoproteinemia[10] [ 45 ] aumentano l’assorbimento e la tossicità nel cervello. Il livello di salicilato [ 42 ] e il livello al quale si verifica la tossicità [ 24 , 34] variano da individuo a individuo. Pertanto, è probabile che una grave intossicazione da salicilato, incluso l’edema polmonare, si sia sviluppata in alcune persone che hanno seguito i regimi posologici raccomandati nel 1918.
I salicilati causano una tossicità polmonare immediata e possono predisporre all’infezione batterica aumentando i livelli di liquidi e proteine polmonari e compromettendo la ripulitura muco-ciliare
L’insorgenza di edema polmonare nell’uomo con intossicazione da salicilato è ben documentata [ 19 , 35 ]. L’aumentata permeabilità del letto vascolare polmonare al fluido e alle proteine, la riduzione della Pressione parziale arteriosa di ossigeno (PaO2) e l’aumento dell’acqua polmonare extravascolare post-mortem si sono verificate dopo la somministrazione di salicilato negli ovini [ 46 ]. Il salicilato deprime anche il sistema di trasporto muco-ciliare del polmone [ 47 ].
La patologia delle morti precoci è coerente con la tossicità dell’aspirina e la patologia indotta da virus
I rapporti di autopsia dei patologi dell’epoca descrivono polmoni estremamente umidi, a volte emorragici nelle morti precoci. Il 23 settembre 1918 a Camp Devens in Massachusetts, 12.604 soldati avevano l’influenza e 727 avevano la polmonite; dopo aver esaminato i polmoni di un soldato morto, il colonnello Welch concluse: “Questo deve essere un nuovo tipo di infezione o peste” [ 48 , p 190]. Quello ha colpito ER Le Count [ 49], consulente patologo presso il Servizio sanitario pubblico degli Stati Uniti, come fatto molto inusuale era che la quantità di tessuto del polmone realmente danneggiato dalla polmonite sembrava “troppo piccola in molti casi per spiegare la morte per polmonite”. Vide un liquido acquoso sanguinolento nel tessuto polmonare, “come i polmoni degli annegati”, così come gli essudati pleurici con piccole emorragie a differenza di quelli visti in “qualsiasi altra forma di polmonite acuta con cui ho familiarità”. È importante sottolineare che ha anche notato come il cervello fosse “quasi sembpre gonfio”, i reni fossero “regolarmente sede di gonfiore torbido” e il fegato presentasse un “cambiamento nel grasso superficiale” (cambiamenti osservati nei bambini con intossicazione da salicilato; vedere sotto). Egli ha concluso: “È difficile credere che una malattia con così tante caratteristiche distintive e … novità … non riesca a possedere un’eziologia corrispondentemente definita.”
Circa nel 50% delle persone il peso del cervello è aumentato di 100-200 gr, indicando molto probabilmente la presenza di un edema cerebrale; il sanguinamento cerebrale era comune [9 , 10 ]. Wolbach [ 50 ], capo patologo del Peter Bent Brigham Hospital di Boston, nel Massachusetts, ha riscontrato un’infezione batterica nei decessi tardivi, ma una persona che era morta nel secondo giorno ha mostrato edema e congestione polmonare, un’eruzione cutanea purpurica e nessuna crescita batterica. Ha ipotizzato una progressione naturale dalla lesione precoce a quella batterica: “Spiccano due tipi di polmoni”. Nelle prime morti, i polmoni erano “rosso scuro e umido … gocciolante bagnato”. French [ 25] descrisse la lesione come “albuminuosa, non cellulare, coagulabile … Uno si rese conto che questo essudato albuminoso … era la probabile causa della cianosi”. Gli essudati erano “così totalmente diversi da quelli che si incontrano in qualsiasi forma ordinaria di polmonite che sembravano essere di importanza essenziale, mentre gli altri cambiamenti – emorragie, bronco-polmonite e così via – erano ulteriori aggiunte …”
Sebbene questi risultati patologici siano stati indotti con il virus dell’influenza del 1918 in modelli animali [ 6 ], sono anche coerenti con la tossicità dell’aspirina. Uno studio su 177 adulti con tossicità da aspirina (e un tasso di mortalità del 15%) ha scoperto che le presentazioni più comuni erano ridotta consapevolezza (61%) e insufficienza respiratoria (47%), anche “a livelli terapeutici” [ 19]. I risultati dell’autopsia per i pazienti con 26 casi fatali sono stati edema polmonare (46%), ulcere (46%), emorragia cerebrale (23%) ed edema cerebrale (31%). Disturbi della coagulazione o trombocitopenia sono stati riscontrati nel 38% dei casi. Un’autopsia dettagliata di un adulto con avvelenamento da aspirina ha rivelato cianosi, congestione polmonare, emorragia alveolare, emorragie subpleuriche e subepicardiche, petecchie, gonfiore torbido dei reni e degenerazione grassa del fegato [ 51 , 52 ]. È stata anche segnalata una manifestazione patologica simile all’ARDS [ 53 ]. I bambini con tossicità da aspirina (o sindrome di Reye) hanno meno probabilità rispetto agli adulti di presentare edema polmonare [ 35 ], sebbene oltre a gonfiore cerebrale, fegato grasso e gonfiore torbido dei reni [ 54 ,55 ], alcuni hanno edema polmonare [ 55 , 56 ], “liquido schiumoso e macchiato di sangue” [ 57 ], ed emorragie polmonari [ 54 ].
Un rapporto di Camp Dix riportava che “la malattia era una vera peste. La straordinaria tossicità, la marcata prostrazione, l’estrema cianosi e la rapidità dello sviluppo segnano questa malattia come un’entità clinica distinta finora non completamente descritta … La polmonite è un fattore importante ma alquanto secondario ”[ 58 , p 1817]. La tossicità da salicilati viene spesso trascurata [ 59 ] perché è presente un’altra condizione, si ritiene che la dose sia banale e i sintomi (iperventilazione, vomito, sudorazione, mal di testa, sonnolenza, confusione, dispnea, eccitazione [salicilato jag], epistassi, vertigini, edema polmonare ed emorragia) non sono specifici [ 34]. Nel 1918 era quasi impossibile differenziare patologicamente o clinicamente l’intossicazione progressiva da salicilato dall’infezione, “la dispnea dura da poche ore a un giorno … seguita da insufficienza respiratoria, collasso circolatorio, convulsioni e morte” [ 40 ].
Le pubblicità sull’aspirina nell’agosto 1918 e una serie di raccomandazioni ufficiali per l’aspirina a settembre e all’inizio di ottobre precedettero il picco di morte dell’ottobre 1918
Nel maggio 1918, l’influenza normale ma altamente contagiosa fu resa nota in Spagna (da qui, “influenza spagnola”) [ 48 ]. A giugno, dopo 6 settimane di normale influenza in Europa, sono aumentate le gravi lesioni polmonari e i decessi tra le persone “ricoverate negli appositi centri per l’influenza”, in particolare tra quelli con una “lesione renale di vecchia data” [ 60 ]. A luglio è stata documentata una maggiore mortalità dei giovani londinesi [ 61 ].
Gli sforzi mondiali della Farbenfabriken Bayer avevano lasciato pochi posti privi di aspirina. Negli Stati Uniti, la gigantesca fabbrica di Bayer produceva aspirina sotto la gestione “americana”. Dopo che i dirigenti della Bayer furono accusati di violare il Trading with Enemies Act[11] nell’agosto 1918, le pubblicità incoraggiarono la fiducia nell’aspirina [ 62 ]. La “signora spagnola” è arrivata negli Stati Uniti e ha colpito 2.000 uomini della Marina a Boston alla fine di agosto. La maggior parte ha recuperato, ma stranamente, il 5% -10% ha sviluppato una “broncopolmonite molto grave e massiccia”, che, in molti, mancava di leucocitosi accompagnatoria [ 63 ].
Diffusione dell’influenza. Raccomandazioni ufficiali per l’aspirina furono emesse il 13 settembre 1918 dall’US Surgeon General[12] [ 64 ], il quale dichiarò che l’aspirina era stata usata in paesi stranieri “apparentemente con molto successo nel sollievo dei sintomi” (p 13), il 26 settembre 1918 dalla Marina militare USA [ 29 ], e il 5 ottobre 1918 da The Journal of American Medical Association [ 31 ]. Le raccomandazioni spesso suggerivano regimi posologici che predispongono alla tossicità come indicato sopra. Nel campo dell’esercito americano con il più alto tasso di mortalità, i medici hanno seguito le raccomandazioni terapeutiche di Osler, che includevano l’aspirina [ 48 ], ordinando 100.000 compresse [ 65 ]. Le vendite di aspirina sono più che raddoppiate tra il 1918 e il 1920 [ 66 ].
Il numero di morti negli Stati Uniti aumentò vertiginosamente, raggiungendo un picco prima nella Marina alla fine di settembre, poi nell’esercito all’inizio di ottobre e infine nella popolazione generale alla fine di ottobre [ 67 ]. Gli omeopati, che pensavano che l’aspirina fosse un veleno, causarono pochi decessi [11, 48 ]. Altri potrebbero aver sospettato che l’aspirina fosse responsabile. Il 23 novembre 1918, Horder [ 68 ] scrisse su The Lancet che, per “casi intensamente tossici … l’aspirina e tutti i cosiddetti farmaci febbrifughi devono essere rigidamente esclusi dal trattamento” (p 695)
In sintesi, poco prima del picco di morti del 1918, l’aspirina era raccomandata nei regimi ora noti per essere potenzialmente tossici e causare edema polmonare e potrebbe quindi aver contribuito alla mortalità pandemica complessiva e ad alcuni dei suoi misteri. La mortalità dei giovani adulti può essere spiegata dalla volontà di usare la nuova terapia raccomandata e dalla presenza di giovani in contesti di trattamento irreggimentati (militari). La bassa mortalità dei bambini può essere il risultato di un minor uso di aspirina. Il principale testo pediatrico [ 69 ] del 1918 raccomandava l’idroterapia per la febbre, non il salicilato; la sua edizione 1920 [ 70] ha condannato la pratica di somministrare “prodotti a base di catrame di carbone” a dosi complete per ridurre la febbre. La comparsa di una patologia simile alla sindrome di Reye prima degli anni ‘50 è dibattuta ed è consistente con il fatto che l’aspirina per bambini non è stata commercializzata fino alla fine degli anni ’40. Il differente utilizzo dell’aspirina potrebbe anche avere contribuiti alle differenze di mortalità tra città e campi militari. (…)
2 – “INFLUENZA SPAGNOLA” E MORTALITÀ DA SOVRA-INFEZIONI BATTERICHE
Traduzione dell’articolo What Really Happened during the 1918 Influenza Pandemic? The Importance of Bacterial Secondary Infections, pubblicato su The Journal of Infectious Diseases, Volume 196, Issue 11, 1 December 2007, Pages 1717–1718, autori John F. Brundage, G. Dennis Shanks; https://academic.oup.com/jid/article/196/11/1717/886065; https://doi.org/10.1086/522355
Che cosa è realmente accaduto durante la pandemia influenzale del 1918? L’importanza delle infezioni batteriche secondarie
All’Editore — I piani per rispondere a una pandemia influenzale sono basati sulle stime degli effetti che una pandemia simile a quella del 1918 avrebbe avuto nelle popolazioni e nei contesti moderni [1–4]. Le più recenti descrizioni della pandemia del 1918 enfatizzano l’espressione clinica unica del ceppo pandemico H1N1— in particolare la rapida progressione verso l’insufficienza respiratoria e la morte — e suggeriscono che tali casi fossero la causa di morte preponderante [1–4]. Recenti rassegne hanno affermato che la maggior parte dei decessi nel corso della pandemia fossero dovuti all’insufficienza respiratoria con una caratteristica alveolite emorragica [1], che la maggior parte di queste morti fossero causate da una tempesta di citochine indotta dal virus che portava ad una sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS),[2] che le sovrainfezioni batteriche abbiano causato forse un terzo di tutte le morti [1–4], e che gli antibiotici e i vaccini contro i batteri attualmente disponibili non sarebbero particolarmente utili se si dovesse verificare nuovamente una pandemia simile a quella del 1918 [1–3]. Viste queste opinioni, non sorprende che la maggior parte dei piani di risposta a una pandemia influenzale minimizzino o trascurino l’importanza di prevenire e curare le infezioni batteriche secondarie.
Tuttavia, nella loro recente rassegna, Morens e Fauci hanno notato che la causa delle morti nel corso della pandemia del 1918 sono state “simili a quelle nel corso di altre pandemie” e che “la maggior parte dei decessi ebbero polmoniti secondarie causate da comuni batteri o, in una minoranza di casi, sintomi simili a quelli dell’ARDS” [5, tabella 1 a pag. 1019]. In realtà, fino a tempi recenti, la maggior parte delle descrizioni della pandemia del 1918 (inclusi quasi tutti i rapporti contemporanei) sottolineavano che i casi fatali avevano decorsi clinici variabili e spesso prolungati, che i casi fulminanti con progressione rapida erano relativamente rari e che le infezioni batteriche secondarie erano le probabili cause della maggior parte dei decessi. Le seguenti descrizioni dalla Gran Bretagna, dagli Stati Uniti e dalla Nuova Zelanda sono indicative.
Gran Bretagna. Nella loro rassegna della pandemia del 1918, i più importanti medici del tempo in Gran Bretagna hanno concluso che il corso clinico dei casi fatali erano altamente variabili e che le infezioni batteriche erano le cause predominanti della morte. Un rapporto del 1920 ha notato che “complicazioni polmonitiche … si potevano sviluppare in un qualsiasi fase dell’attacco influenzale; non c’era una regola” [6, p. 71]. Riguardo alle infezioni batteriche, il rapporto ha affermato che “gli organismi responsabili per le infezioni del tratto respiratorio, a cui sono dovuti i suoi principali terrori [ovvero i patogeni che spesso causano gravi danni a livelli del tratto respiratorio] sono ben noti. Essi sono il bacillo di Pfeiffer [adesso noto come Haemophilus influenzae], lo pneumococco, gli streptococchi, e specialmente gli streptococchi di tipo emolitico, e più occasionalmente stafilococchi, e altri organismi da doversi menzionare a tempo debito … La malattia priva di complicazioni … è raramente fatale di per sé. … Le complicazioni alle quali è dovuta l’anomala mortalità dell’epidemia sono state causate da infezioni secondarie” [7, pp. 122, 123, 125].
Stati Uniti. Numerosi resoconti di focolai locali una rassegna sistematica delle esperienze in varie installazioni dell’esercito degli USA nel corso del 1918 hanno rivelato che i casi di polmonite emorragica che sono rapidamente progrediti verso la morte erano relativamente rari, che la maggior parte delle morti si verificarono dopo un decorso clinico relativamente lungo, e che la maggior parte dei casi fatali si pensava fossero dovuti a infezioni batteriche secondarie [8–10]. Dopo la pandemia, una rassegna dettagliata da parte del dipartimento sanitario dell’esercito statunitense ha concluso che quasi tutte le morti erano dovute a “polmoniti secondarie” e che “molto pochi” sono morti come risultato di infezioni primarie [10, p. 68]. Il rapporto avvisava che le valutazioni delle relazioni tra il virus influenzale e gli “invasori secondari” richiedevano considerazione della “durata della malattia prima della fine fatale e la fase dell’ondata epidemica nella quale si è verificata l’insorgenza della malattia” [10, p. 148]. Al culmine di diffusione dei focolai, la maggior parte dei casi avevano durate medie che erano decisamente più lunghe di quelle di tipo puramente emorragico, e questi casi “comprendono la maggior parte delle morti” [10, p. 148]. Una stima recente della distribuzione dei tempi intercorsi tra l’infezione e la morte nel corso della pandemia del 1918 — basati sui rapporti di 94 autopsie su soldati USA — suggeriscono che meno del 4% delle morti sono occorse nel giro di 3 giorni, e quasi metà delle morti sono occorse più di 10 giorni dopo il momento stimato dell’infezione [11].
Nuova Zelanda. Nel Novembre del 1918, un’epidemia di influenza in un campo militare nella Nuova Zelanda ha causato 3.220 ricoveri in ospedale e 163 morti (mortalità del 5,1%) tra circa 8.000 soldati. Una recente analisi ha rivelato che il tempo medio dall’insorgere della malattia alla morte era di 6–7 giorni (pochi casi sono morti nel giro di 3 giorni) [12]. Gli autori hanno suggerito che “un’importante causa della morte era probabilmente dovuta a una polmonite batterica secondaria — al contrario della polmonite primaria dovuta al virus influenzale o alla sindrome da distress respiratorio acuto (a causa delle quali la morte sarebbe tendenzialmente occorsa in maniera più veloce)” [12, p. 6].
Per via di molti meccanismi, l’influenza aumenta il rischio e la gravità delle infezioni batteriche delle vie respiratorie [8, 13, 14]. E tuttavia le preparazioni per la risposta alla prossima pandemia influenzale pongono poca attenzione alla prevenzione e al trattamento delle infezioni batteriche. Questo può essere dovuto alla diffusa errata percezione riguardo l’importanza delle infezioni batteriche durante la pandemia del 1918.
In molti posti, antivirali moderni e vaccini specifici per il ceppo [circolante] potrebbero essere inaccessibili e/o troppo costosi — e altri metodi preventivi (per esempio il distanziamento sociale) potrebbero essere inefficaci — in risposta a una pandemia influenzale. In tale contesti, vaccini batterici disponibili e relativamente economici e antibiotici potrebbero essere accessibili, economicamente convenienti, e salvavita — prima, durante e dopo le future pandemie influenzali [15–17].
Sostegno finanziario: Sistema di Difesa Globale per le Infezioni Emergenti del Ministero della Difesa degli USA.
Le opinioni o le asserzioni qui riportate rappresentano i punti di vista privati degli autori e non dovrebbero essere considerate come ufficiali, né si deve pensare che riflettano le opinioni del Ministero della Difesa, del Ministero dell’Esercito, o la Forza di Difesa Australiana.
3 – “INFLUENZA SPAGNOLA”, UN POSSIBILE RUOLO DELLA TUBERCOLOSI?
Traduzione dell’articolo
Bird Flu, Influenza and 1918: The Case for Mutant Avian Tuberculosis Medical Hypotheses . 2006;67(5):1006-15, autore Lawrence Broxmeyer; https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/16806732/
Influenza aviaria, influenza e 1918: il caso della tubercolosi aviaria mutante
Influenza è una parola italiana che significa “influenza” e che deriva dal latino: influentia. Si pensava che la malattia fosse causata da una cattiva influenza del cielo. L’influenza è stata attribuita a un virus molto, molto prima che così fosse dimostrato. Nel 2005, un articolo del New England Journal of Medicine ha stimato che una ricorrenza dell’epidemia dell’influenza del 1918 potrebbe uccidere tra 180 milioni e 360 milioni di persone in tutto il mondo.
Gran parte dell’attuale isteria dell’influenza aviaria è alimentata dalla diffidenza, nella comunità laica e in quella scientifica, per quanto riguarda lo stato attuale delle nostre conoscenze sull’influenza aviaria, o H5N1, e l’ “Influenza” Pandemica assassina del 1918, alla quale viene paragonata.
E questa diffidenza non è completamente infondata. Tradizionalmente, l’ “influenza” non uccide. Alcuni esperti, tra i quali Peter Palese della Mount School of Medicine di Manhattan, ci ricordano che anche nel 1992, milioni di persone in Cina avevano già gli anticorpi contro l’H5N1, il che significa che essi avevano contratto il virus e che il loro sistema immunitario aveva avuto pochi problemi a respingerlo.
Il dott. Andrew Noymer e Michel Garenne, demografi della Università della California di Berkely, hanno riportato nel 2000 delle statistiche convincenti che mostrano come la tubercolosi non diagnosticata potrebbe essere stata il vero assassino nell’epidemia di influenza del 1918.
Consapevoli dei recenti tentativi di isolare il “virus dell’influenza” sui cadaveri umani e sui campioni da loro estratti, Noymer e Garenne hanno riassunto che: “In maniera frustrante, questi risultati non hanno risposto alla domanda sul perché il virus del 1918 fosse così virulento, e nemmeno offrono una spiegazione per l’insolito profilo dell’età dei morti”.
L’influenza aviaria verrebbe sicuramente diagnosticata oggi in ospedale come sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS). Roger e altri preferiscono sospettare la tubercolosi in tutti i casi di insufficienza respiratoria acuta di origine sconosciuta. Nel 1918 si poteva dire, per quanto riguardava la tubercolosi, che il mondo era una spugna sovrassatura pronta a scoppiare e che tra le sue parti più vulnerabili era proprio il Midwest (Stati Uniti Medio Occidentali), dove iniziò la pandemia sconosciuta del 1918.
Viene teorizzato che la letale epidemia suina che iniziò in Kansas appena prima dei primi focolai umani, fosse una malattia della tubercolosi aviaria e umana geneticamente combinata attraverso lo scambio di mico-batteriofagi, con il maiale (suscettibile a entrambe) come mezzo di cultura vivente involontaria. Quali sono le conseguenze del confondere un virus come l’influenza A con il reale patogeno micobatterico all’origine della malattia? Sarebbero disastrosi, con trattamenti inutili e inutili scorte preventive. Attualmente l’ovvia necessità di ulteriori indagini è imminente e urgente.
4 – UN QUOTIDIANO IRLANDESE DENUNCIA IL RUOLO NEGATIVO DEI VACCINI NELLA “PANDEMIA DI INFLUENZA SPAGNOLA”
NB: la testata Irish Examiner non va scambiata per un sito complottista, in quanto si tratta di un quotidiano a tutti gli effetti (vedi questo articolo con tanto di foto del quotidiano cartaceo https://www.thetimes.co.uk/article/independent-news-amp-media-holds-exploratory-talks-over-irish-examiner-f89gsr8nt ), e per di più basta leggere un articolo sul codiv-19 per capire che i suoi giornalisti non usano mettere in dubbio le restrizioni governative (qui di seguito due esempi https://www.irishexaminer.com/opinion/ourview/arid-10058295.html?fbclid=IwAR03DkGfMLDtFnddPOoPjoPv8YXC4dVxl3w9RPpbpZAToTlgsZ_zENUEOS4, https://www.irishexaminer.com/breakingnews/ireland/nightclubs-may-be-unable-to-reopen-until-2021-1007989.html)
Ciò non toglie che questo articolo non offre molte prove a sostegno (fotocopie di certificati, link etc.); sulla massiccia produzione di vaccini avvenuta in quegli anni “contro l’influenza” o specificamente “contro la spagnola” e sulla loro dubbia utilità, vedi la traduzione successiva.
Vaccine not virus responsible for Spanish flu
pubblicato sul quotidiano Irish Examiner l’8 maggio 2003, autore Patrick J Carroll.
https://www.irishexaminer.com/opinion/ourview/arid-10058295.html?fbclid=IwAR03DkGfMLDtFnddPOoPjoPv8YXC4dVxl3w9RPpbpZAToTlgsZ_zENUEOS4
I vaccini e non il virus sono stati responsabili per l’influenza spagnola
RYLE DWYER scrive sull’orrore della pandemia del 1918-20 che la propaganda afferma essere stata causata dalla Influenza Spagnola (Irish Examiner, 1 Maggio).
Come potevano sapere che era stato il virus dell’influenza spagnola a uccidere milioni di civili e di soldati? Il disastro si è verificato quando i virus erano sconosciuti alla scienza medica. Ci volle un team scientifico britannico per identificare il primo virus nell’uomo nel 1933.
Per quanto riguarda l’origine dell’epidemia, egli riferisce che un alto ufficiale dell’esercito americano suggerì che i tedeschi avrebbero potuto essere i responsabili del (rilascio del) microbo come parte del loro sforzo bellico, diffondendolo nei teatri o nei posti in cui si assemblava un gran numero di persone. Lo hanno anche diffuso tra la propria gente, uccidendo 400.000 persone come viene riportato?
Ryle vorrebbe che noi credessimo farci credere che tutti quei soldati americani che non sono morti a causa dei combattimenti potrebbero essere morti di influenza spagnola.
Ma i registri dell’esercito statunitense mostrano che sette uomini sono morti dopo essere stati vaccinati.
Un rapporto del Ministro della guerra statunitense Henry L Stimson, non solo ha verificato questi decessi, ma ha anche affermato che ci sono stati 63 decessi e 28.585 casi di epatite come risultato diretto della vaccinazione contro la febbre gialla avvenuti nel corso di solo sei mesi di guerra. Quello era solo uno dei 14-25 vaccini dati alle reclute.
I registri dell’esercito rivelano inoltre che dopo che la vaccinazione divenne obbligatoria nell’esercito statunitense nel 1911, non solo il tifo aumentò rapidamente, ma tutte le altre malattie per le quali si vaccinava aumentarono a un ritmo allarmante. Dopo che l’America entrò in guerra nel 1917, il tasso di mortalità per vaccinazione contro il tifo salì al punto più alto nella storia dell’esercito USA.
Le morti si sono verificate dopo che i vaccini erano stati somministrati negli ospedali sanitari americani e in campi militari ben supervisionati in Francia, dove i servizi igienico-sanitari erano stati praticati per anni.
Il rapporto del chirurgo generale dell’esercito americano mostra che nel corso del 1917 furono ricoverati negli ospedali dell’esercito 19.608 uomini che soffrivano di inoculazione e vaccino anti-tifoide. Ciò non tiene conto delle persone le cui malattie da vaccino sono state attribuite ad altre cause.
I medici dell’esercito sapevano che tutti questi casi di malattia e morte erano dovuti alla vaccinazione ed erano abbastanza onesti da ammetterlo nei loro referti medici. Quando i medici dell’esercito hanno cercato di minimizzare i sintomi del tifo con un vaccino più forte, questo ha causato una forma peggiore di paratifo tifoide.
Ma quando hanno messo a punto un vaccino ancora più forte per sopprimere quest’ultima malattia, hanno creato una malattia ancora peggiore (che fu denominata) Influenza Spagnola.
Dopo la guerra, questo era uno dei vaccini usati per proteggere un mondo colpito dal panico, dai soldati che ritornavano dal fronte della Prima Guerra Mondiale infettati da malattie pericolose.
Il resto è storia.
Patrick J Carroll, Lady Lane House, Waterford
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5 – L’USO DEI VACCINI INTORNO AL 1918
Riporto qui la traduzione di alcuni stralci significativi dell’articolo The State of Science, Microbiology, and Vaccines Circa 1918 pubblicato su Public Health Reports, autore John M Eyler https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2862332/. Come si legge nell’articolo, ai tempi dell’influenza spagnola si pensava all’influenza come ad una malattia batterica anche se il microrganismo che avrebbe isolato lo scopritore (bacillo di Pfeiffer) inoculato nelle cavie non aveva prodotto la malattia. Per altro le manifestazioni cliniche di ciò che veniva definito “influenza” apparivano molto differenti a seconda dell’età, e già si iniziavano a scoprire delle differenze che facevano pensare a delle patologie para-influenzali, ma in assenza della precisa identificazione dei vari agenti patogeni responsabili delle varie forme patologiche c’era ancora una notevole confusione. Solo in seguito apparvero prove che il bacillo incriminato si trovava solo nel in una piccola percentuale dei malati di influenza, ma nel frattempo i rapporti sui vaccini “contro l’influenza” preparati in realtà come vaccini contro il bacillo di Pfeiffer e poi anche contro altri batteri furono generalmente positivi[13].
Creare un vaccino per una malattia avendo un’idea ancora vaga dell’agente causativo[14] non poteva essere utile a livello preventivo, ma poteva sicuramente lasciare spazio agli effetti collaterali, dovuti anche solo ad una realizzazione frettolosa in condizioni igieniche non ottimali. Come si legge nell’articolo, infatti i produttori di vaccino si buttarono a capofitto nell’impresa di produrre e vendere questi molto discutibili, vaccini per l’influenza.
Lo stato della scienza, la microbiologia e i vaccini intorno al 1918
The influenza pandemic of 1918–1919 dramatically altered biomedical knowledge of the disease. At its onset, the foundation of scientific knowledge was information collected during the previous major pandemic of 1889–1890. The work of Otto Leichtenstern, first published in 1896, described the major epidemiological and pathological features of pandemic influenza and was cited extensively over the next two decades. Richard Pfeiffer announced in 1892 and 1893 that he had discovered influenza’s cause. Pfeiffer’s bacillus (Bacillus influenzae) was a major focus of attention and some controversy between 1892 and 1920. The role this organism or these organisms played in influenza dominated medical discussion during the great pandemic.
Many vaccines were developed and used during the 1918–1919 pandemic. The medical literature was full of contradictory claims of their success; there was apparently no consensus on how to judge the reported results of these vaccine trials. The result of the vaccine controversy was both a further waning of confidence in Pfeiffer’s bacillus as the agent of influenza and the emergence of an early set of criteria for valid vaccine trials.
SINOSSI
La pandemia di influenza del 1918-1919 ha radicalmente alterato la conoscenza biomedica della malattia. All’inizio, la base della conoscenza scientifica furono le informazioni raccolte durante la precedente grande pandemia del 1889-1890. Il lavoro di Otto Leichtenstern, pubblicato per la prima volta nel 1896, descriveva le principali caratteristiche epidemiologiche e patologiche dell’influenza pandemica e fu ampiamente citato nei successivi due decenni. Richard Pfeiffer annunciò nel 1892 e nel 1893 di aver scoperto la causa dell’influenza. Il bacillo di Pfeiffer (Bacillus influenzae ) fu al centro dell’attenzione e di alcune controversie tra il 1892 e il 1920. La discussione medica durante la grande pandemia è stata dominata dal ruolo che questo organismo o questi organismi giocavano nell’influenza.
Molti vaccini furono sviluppati e usati durante la pandemia del 1918-1919. La letteratura medica era piena di affermazioni contraddittorie sul loro successo; apparentemente non c’era consenso su come giudicare i risultati che venivano riportati su questi esperimenti con i vaccini. Il risultato della controversia sui vaccini è stata sia un ulteriore declino della fiducia nel bacillo di Pfeiffer come agente dell’influenza, sia l’emergere di una prima serie di criteri per effettuare dei validi studi sui vaccini.
(…)
Ad esempio David J. Davis, del Memorial Institute for Infectious Diseases di Chicago, riferì nel 1906 di avere isolato i bacilli di Pfeiffer da tutti, ad esclusione di cinque, della serie di 61 casi di tosse convulsiva che aveva studiato. Li ha anche trovati nel 40-80% di un numero minore di casi di meningite cerebro-spinale, varicella, morbillo e bronchite. Significativamente, è riuscito a isolare i bacilli di Pfeiffer in solo tre (18%) dei 17 casi di influenza.
Tali risultati hanno suggerito ad alcuni che il bacillo di Pfeiffer fosse semplicemente un invasore secondario. Ma questi risultati potrebbero anche indicare che questo organismo è stato un attore chiave in un’eziologia più complessa. (…)
Il destino del bacillo di Pfeiffer come probabile causa dell’influenza si riflette nell’uso dei vaccini negli Stati Uniti durante la pandemia del 1918-1919.
Nel 1918, l’uso riuscito di alcuni vaccini, in particolare quelli contro la rabbia, la febbre tifoide e la difterite, nonché l’uso dell’antitossina difterica, avevano suscitato grandi aspettative per un vaccino contro l’influenza. Coloro che avevano già un vaccino in mano sono corsi a promuovere i loro vaccini come prevenzioni sicure o come cure per l’influenza. I produttori di farmaci hanno promosso in modo aggressivo i vaccini che avevano per raffreddori e influenza di cui avevano scorte. Questi vaccini avevano una composizione non divulgata. Man mano che l’ansia e la domanda del pubblico aumentavano, ci furono lamentele riguardo all’esagerato aumento dei prezzi e alle bustarelle. (…) Almeno un comune, Far Rockaway, New York, ha annunciato che avrebbe fornito il vaccino di Bonime a tutti i suoi cittadini.
All’inizio della pandemia, le autorità più rispettate e altolocate hanno sviluppato vaccini basati esplicitamente sul bacillo di Pfeiffer. Il 2 ottobre 1918, Royal S. Copeland, commissario per la salute di New York City, cercò di rassicurare i cittadini che gli aiuti stavano arrivando, perché il direttore dei laboratori del Ministero della sanità, William H. Park, stava sviluppando un vaccino che avrebbe offerto protezione contro questa temuta malattia. I successi di Park nella lotta alla difterite con anti-tossine e vaccini sviluppati in questi stessi laboratori hanno dato molto peso all’annuncio di Copeland. (…)
Quello di Park non è stato l’unico vaccino contro il bacillo dell’influenza di Pfeiffer a comparire precocemente durante la pandemia. Alla Tufts Medical School di Boston, Timothy Leary, professore di batteriologia e patologia, ha sviluppato un altro vaccino contro il bacillo di Pfeiffer. Il suo è stato sviluppato da tre ceppi isolati localmente ed è stato ucciso dal calore e trattato chimicamente. Leary ha promosso il suo vaccino sia come preventivo sia come trattamento per l’influenza. Presto seguirono altri vaccini contro il bacillo di Pfeiffer. La facoltà della facoltà di medicina dell’Università di Pittsburgh ha isolato 13 ceppi del bacillo di Pfeiffer e ne ha prodotto un vaccino modificando le tecniche utilizzate da Park. Nell’atmosfera di crisi della pandemia, gli sviluppatori del vaccino di Pittsburgh hanno isolato i loro ceppi, preparato il vaccino, testato per la tossicità in alcuni animali da laboratorio e in due esseri umani, e lo hanno consegnato alla Croce Rossa per l’uso nell’uomo, tutto in una settimana. A New Orleans, Charles W. Duval e William H. Harris del Dipartimento di Patologia e Batteriologia dell’Università di Tulane hanno sviluppato il loro vaccino contro il bacillo di Pfeiffer ucciso chimicamente. (…)
Questi vaccini sono stati ampiamente utilizzati. Il vaccino di Park è stato fornito ai militari e ai medici privati. È stato utilizzato anche a livello aziendale tra i lavoratori dell’industria, compresi i 14.000 impiegati della Consolidated Gas Company e 275.000 impiegati della US Steel Company. Il vaccino di Leary fu usato frequentemente durante l’epidemia negli istituti di custodia statali del Nord-Est e da alcuni medici privati. (p. 105–7), 24–27 Duval e Harris riferirono di avere immunizzato circa 5.000 persone, la maggior parte delle quali erano dipendenti di grandi aziende di New Orleans. Quasi senza eccezione, quelli che hanno riferito sull’uso di questi vaccini contro il bacillo di Pfeiffer hanno affermato che fossero efficaci nel prevenire l’influenza.
Eziologie alternative, altri vaccini
Altri candidati erano stati proposti come causa dell’influenza durante la pandemia, ma questi sono stati eliminati piuttosto rapidamente. Un ufficiale medico dell’esercito, il capitano George Mathers, che morì di influenza durante le sue indagini, isolò e caratterizzò uno streptococco che produsse un colore verde sulle piastre di agar. A Fort Mead, ha isolato il suo streptococco a produzione verde dall’87% dei casi di influenza e polmonite, mentre è stato in grado di isolare il bacillo di Pfeiffer solo nel 58% di questi casi. Lo streptococco di Mathers ha attirato una certa attenzione durante i primi mesi della pandemia. Jordan per esempio, l’ha cercato sistematicamente nel suo studio ma non ha trovato prove che lo rendessero una causa più probabile del Bacillo dell’influenza. Quindi, sia in Europa che in America, gli investigatori hanno considerato la possibilità che l’influenza potesse essere causata da un virus filtrabile.
La questione controversa era la scoperta contestata che l’influenza potrebbe essere causata nell’uomo dall’inoculazione di materiale dal naso o gola di pazienti affetti da influenza che era stati passati attraverso un filtro per batteri. Ricercatori francesi e giapponesi avevano riferito di essere riusciti a trasferire l’influenza con questo metodo. I ricercatori americani non sono riusciti a confermare questi risultati. I ricercatori del Cook County Hospital hanno utilizzato questo metodo per inoculare sette volontari umani senza causare malattie. Hanno fatto lo stesso con le colture ottenute dai polmoni delle vittime della polmonite influenzale e hanno inoculato due scimmie Rhesus con risultati simili. Anche altri esperimenti di inoculazione umana e di laboratorio volti a rilevare un virus filtrabile erano stati anch’essi negativi. Questi risultati negativi sono stati confermati anche da ampi esperimenti umani sull’influenza sponsorizzati dalla Marina degli Stati Uniti e dal Servizio di sanità pubblica degli Stati Uniti.
Mentre la fiducia nel ruolo del bacillo di Pfeiffer nell’influenza diminuiva, cambiò la strategia di prevenzione tramite i vaccini. I vaccini sviluppati successivamente nella pandemia (…) erano composti da altri organismi, sia utilizzati singolarmente che associati ad altri. Sempre più i vaccini erano giustificati come prevenzione delle polmoniti che accompagnavano l’influenza. I vaccini contro gli streptococchi uccisi sono stati sviluppati da un medico di Denver e dallo staff medico del cantiere navale Puget Sound. Quest’ultimo è stato usato dai marinai e anche dai civili di Seattle.
I vaccini misti erano i più comuni. Questi contenevano tipicamente pneumococchi e streptococchi. A volte erano inclusi stafilococchi, i bacilli di Pfeiffer e persino organismi non identificati recentemente isolati nel reparto o nell’obitorio. Il più usato, e storicamente il più interessante, era il vaccino prodotto da Edward C. Rosenow della divisione di sperimentazione della Mayo Clinic Batteriologia. Rosenow ha sostenuto che l’esatta composizione di un vaccino destinato a prevenire la polmonite doveva corrispondere alla distribuzione dei microbi infettivi polmonari allora in circolazione. Per tale motivo, ha insistito sul fatto che la composizione del suo vaccino doveva essere frequentemente modificata. Il suo vaccino iniziale consisteva in batteri uccisi in queste proporzioni: 30% di pneumococchi di tipo I, II e III; 30% di pneumococchi di tipo IV e un “diplostreptococcus a produzione verde”; 20% di streptococchi emolitici; 10% stafilococchi aurei; e il 10% di Bacillus influenzae. Successivamente lasciò cadere completamente il bacillo di Pfeiffer. La Mayo Clinic distribuì ampiamente il vaccino di Rosenow ai medici del Midwest superiore. Nessuno sembra sapere con certezza quante persone hanno ricevuto questo vaccino, ma, attraverso i medici, Rosenow ha ricevuto informazioni su 93.000 persone che avevano ricevuto tutte e tre le iniezioni, 23.000 che avevano ricevuto due iniezioni e 27.000 che ne avevano ricevuta una sola.
Il vaccino di Rosenow ha ricevuto una distribuzione ancora più ampia. È stato adottato dalla città di Chicago. I Laboratori del Dipartimento della Sanità di Chicago hanno prodotto oltre 500.000 dosi di vaccino. Una parte è stata distribuita ai medici di Chicago e il resto è stato consegnato al Ministero della Sanità di salute dello stato per l’utilizzo in tutto l’Illinois.
La controversia sui vaccini e gli standard per i test sui vaccini
Come nel caso dei vaccini contro il bacillo di Pfeiffer, la maggior parte dei primi rapporti sull’uso di questi vaccini misti indicavano che fossero efficaci. I lettori di riviste mediche americane nel 1918 e per gran parte del 1919 si trovarono quindi di fronte alla strana circostanza che tutti i vaccini, indipendentemente dalla loro composizione, dal loro modo di somministrazione o dalle circostanze in cui venivano testati, venivano considerati utile alla prevenzione dell’influenza o della polmonite influenzale. Qualcosa era chiaramente sbagliato. A quel tempo tra i medici non c’era alcun consenso su ciò che costituisse un valido test sui vaccini e non erano in grado di stabilire se questi vaccini fossero efficaci. La mancanza di standard concordati fu esacerbata dalle procedure editoriali informali e dall’assenza di revisione tra pari nella pubblicazione scientifica nel 1918.
Durante la pandemia del 1918-1919, i medici furono costretti a sviluppare degli standard per le sperimentazioni sui vaccini. Park e George McCoy, direttore del laboratorio igienico del servizio sanitario pubblico, guidarono il criticismo sottolineando gli errori di progettazione o inferenza delle relazioni contemporanee. La maggior parte degli studi è iniziata dopo che i primi casi di influenza erano comparsi localmente, spesso dopo che il picco epidemico era passato, e quindi i più suscettibili [alla malattia] potrebbero essere già stati attaccati e non comparire nel gruppo dei vaccinati, e i più resistenti probabilmente sarebbero stati assegnati al gruppo dei vaccinati. Di solito sono stati fatti pochi sforzi per minimizzare la distorsione dovuta alla selezione nelle assegnazioni delle persone al gruppo della sperimentazione o al gruppo di controllo o per rendere equivalenti i due gruppi per età, sesso ed esposizione. E troppi studi hanno operato con scarsa osservazione e raccolta imperfetta dei dati.
McCoy organizzò il suo studio sul vaccino Rosenow prodotto dai Laboratori del Ministero della Sanità di Chicago. Lui e i suoi collaboratori lavoravano in un manicomio in California dove potevano tenere sotto stretta osservazione tutti i soggetti. Hanno immunizzato metà dei pazienti di età inferiore ai 41 anni in ogni reparto, completando l’ultima immunizzazione 11 giorni prima dell’inizio dell’epidemia locale. In queste condizioni più controllate, il vaccino di Rosenow non ha offerto alcuna protezione. L’articolo di McCoy apparve come un rapporto a una colonna nell’edizione del 14 dicembre 1918 del Journal of American Medical Association (JAMA).
Alla riunione dell’American Public Health Association (APHA) alcuni giorni più tardi in quello stesso mese, McCoy e Park usarono le loro posizioni nel sottocomitato esecutivo sulla batteriologia dell’epidemia di influenza del 1918, per pubblicare un manifesto apparso nel “Programma di lavoro contro l’influenza dell’APHA .” L’APHA ha dichiarato che, poiché la causa dell’influenza era sconosciuta, non vi era alcuna base logica per un vaccino per prevenire la malattia. Esisteva una base logica per ritenere che potesse essere sviluppato un vaccino per prevenire le infezioni secondarie, ma non c’erano prove che uno qualsiasi dei vaccini attualmente disponibili fosse efficace. L’associazione ha quindi specificato i criteri che un processo deve soddisfare, se le sue conclusioni dovessero essere valide. Ci deve essere un gruppo di controllo, ha specificato l’associazione, e il gruppo vaccinato e il gruppo di controllo devono avere le stesse dimensioni. Le sensibilità relative dei due gruppi devono essere equivalenti come determinate dall’età, dal sesso e dall’esposizione precedente. Il loro grado di esposizione deve avere la stessa durata e intensità e deve avvenire durante la stessa fase dell’epidemia.
La campagna dei riformatori ebbe un impatto. Dopo la sua pubblicazione, sebbene siano rimasti i difetti di progettazione di base di molti studi, alcuni autori hanno riconosciuto le carenze dei loro dati o riformulato le proprie conclusioni e alcuni hanno citato come autorevoli i nuovi standard APHA. All’inizio del 1919 , Rosenow, il più forte difensore dei vaccini, si trovò sulla difensiva. Durante la discussione del suo documento durante l’incontro annuale dell’APHA, ha affrontato commenti ostili sia di McCoy che di Victor Vaughan. Il mese successivo, JAMA pubblicò un editoriale critico anonimo che accompagnava il suo primo articolo sull’uso del suo vaccino.
Forse la migliore prova del cambiamento degli standard professionali si trova in due studi sponsorizzati dalla Metropolitan Life Insurance Company durante la stagione influenzale 1919-1920. Entrambi non avevano precedenti nella letteratura sull’influenza nella cura e nella progettazione e nell’analisi della sperimentazione. Park e la sua collega, Anna Von Sholly, hanno studiato l’uso di due vaccini misti tra i dipendenti dell’home office di Met Life. Edwin Jordan e W.B. Sharp hanno studiato gli effetti di un singolo vaccino misto in tre scuole residenziali e due grandi ospedali psichiatrici nell’Illinois. Pur aderendo agli standard stabiliti dall’APHA, entrambi gli studi hanno concluso che i vaccini utilizzati erano inefficaci.
Studi epidemiologici
(…) Forse gli studi epidemiologici più interessanti condotti durante la pandemia del 1918-1919 furono gli esperimenti umani condotti dal Servizio sanitario pubblico e dalla Marina degli Stati Uniti sotto la supervisione di Milton Rosenau sull’isola di Gallops, la stazione di quarantena nel porto di Boston, e su Angel Island, la sua controparte a San Francisco. L’esperimento è iniziato con 100 volontari della Marina che non avevano alcuna storia di influenza. Rosenau fu il primo a riferire sugli esperimenti condotti a Gallops Island nel novembre e nel dicembre 1918. I suoi primi volontari ricevettero prima un ceppo e poi diversi ceppi del bacillo di Pfeiffer tramite spray e tampone nel naso e nella gola e poi nei loro occhi. Quando tale procedura non ha prodotto la malattia, altri sono stati inoculati con miscele di altri organismi isolati dalla gola e dal naso dei pazienti con influenza. Successivamente, alcuni volontari hanno ricevuto iniezioni di sangue da pazienti affetti da influenza. Infine, 13 volontari sono stati portati in un reparto di influenza ed esposti a 10 pazienti con influenza ciascuno. Ogni volontario doveva stringere la mano a ciascun paziente, parlare con lui a distanza ravvicinata e permettergli di tossire direttamente in faccia. Nessuno dei volontari in questi esperimenti ha sviluppato l’influenza. Rosenau era chiaramente perplesso e ha avvertito di non trarre conclusioni dai risultati negativi. Ha concluso il suo articolo su JAMA con un riconoscimento riconoscente: “Quando è iniziata l’epidemia pensavamo di conoscere la causa della malattia ed eravamo abbastanza sicuri di sapere come venisse trasmessa da persona a persona. Forse, se abbiamo imparato qualcosa, è che non siamo del tutto sicuri di ciò che sappiamo della malattia.”
La ricerca condotta ad Angel Island e che proseguì agli inizi del 1919 a Boston ampliò questa ricerca inoculando lo streptococco di Mathers e includendo una ricerca di agenti filtranti, ma produsse simili risultati negativi simili. Sembrava che ciò che era stato riconosciuto essere una delle malattie contagiose più contagiose non potesse essere trasferito in condizioni sperimentali.
ALTRI RIFERIMENTI:
[1] Che una gran parte dei morti di “influenza spagnola” morì in realtà di infezioni (secondarie?) batteriche è discusso nella prossima traduzione.
[2] E qui nessuno nega che in certi casi in cui la febbre va fuori scala sia utile intervenire, prima con spugnature fredde ed eventualmente anche con farmaci.
[3] Si verifica un edema quando dai capillari dei polmoni fuoriescono dei liquidi, che compromettono la funzionalità degli alveoli polmonari rendendo difficile lo scambio di ossigeno e anidride carbonica, rendendo possibile il verificarsi di un’insufficienza respiratoria.
[4] Sistema di “smaltimento dei rifiuti” (tossicità e agenti infettivi) a livello polmonare col muco che ingloba e le ciglia vibratili che fanno scorrere il muco stesso.
[5] Una delle più alte e prestigiose cariche istituzionali statunitensi nel campo della salute.
[6] Ancora oggi prestigiosissimo giornale medico.
[7] Per quanto la ricostruzione del virus originale possa essere stata precisa.
[8] La maniera in cui viene assimilato, processato e smaltito il salicilato (asprina) fa sì che l’eventuale danno non sia proporzionale alla dose, anche a causa di un fenomeno di accumulo.
[9] Non dovuto a insufficienza cardiaca.
[10] Condizione caratterizzata da un valore delle proteine nel plasma sanguigno minore di 6 g per 100 ml, e che si verifica facilmente in condizione di digiuno o sottoalimentazione (e quindi facilmente in persone gravemente malate da alcuni giorni).
[11] Legge che vietava di commerciare con i paesi nemici nel corso della prima guerra mondiale.
[12] Carica ricoperta ai tempi da Rupert Blue, che per due anni (1916-17) era stato anche presidente dell’American Medical Association.
[13] Questo potrebbe anche significare che alcuni batteri fossero davvero implicati nella patologia semplicisticamente denominata “influenza spagnola”, in un’epoca in cui non erano certo disponibili test sierologici, ma come vedremo nella traduzione gli studi sui vaccini furono realizzati in maniera tale da garantire sempre risultati positivi.
[14] Vedi la parte finale dell’articolo in cui viene descritto il fallimento dei medici che non riuscirono a trasmettere la malattia a soggetti sani partendo dagli agenti o dai filtrati prelevati dalle persone ammalate.