I Test PCR per COVID-19 sono scientificamente non significativi (prima parte)

Scritto da Angelo

Categorie: Salute

31 Agosto 2020

Ho chiesto amico di tradurre quest’articolo che sui social è quasi impossibile linkare in quanto esce subito la scritta “fact-check” ed indicato come scientificamente falso.
Grazie Simone per il lavoro gratuito.

Articolo originale: QUI

Angelo Rossiello.

PRIMA PARTE

Sebbene l’intero mondo faccia affidamento sul RT-PCR per la diagnosi dell’infezione da Sars-Cov-2, la scienza è chiara: non sono adatti allo scopo

I vari lockdown e le misure igieniche adottate globalmente, sono basati su un numero di casi e tassi di mortalità dedotti grazie ai cosiddetti test SARS-CoV-2 RT-PCR, usati per identificare i pazienti “positivi”, dove “positivo” è solitamente sinonimo di “infetto”.

Guardando bene ai fatti, però, la conclusione è che i test PCR non sono significativi come strumento diagnostico per determinare se vi sia una presunta infezione da parte di un nuovo virus chiamato SARS-CoV-2.

Il Mantra “Test, Test, Test, …” infondato

Al briefing dei media sul Covid-19 del 16 Marzo 2020, il direttore generale del WHO, Dr. Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha detto:

“abbiamo un semplice messaggio per tutte le nazioni: test, test, test”

Il messaggio fu diffuso come titolo di molte testate in tutto il mondo, ad esempio Reuters e BBC.

Ancora il 3 Maggio, il moderatore dell’heute journal – uno dei più importanti notiziari della tv tedesca – stava trasmettendo il mantra del corona-dogma ai propri telespettatori, con le parole di ammonimento:

“Test, test, test – questo è il credo del momento, ed è l’unico modo per capire realmente quanto il coronavirus si stia diffondendo”

Ciò indica che il credo nella validità dei test PCR è tanto forte da eguagliare quello in una religione, che non tollera virtualmente alcuna contraddizione.

È risaputo, però, che le religioni si basano sul fato, non su fatti scientifici. E come disse Walter Lippmann, il vincitore di ben due Premi Pulitzer e forse il giornalista più influente del 20mo secoloDove tutti pensano allo stesso modo, nessuno pensa molto

Per cominciare, è davvero notevole che Kary Mullis stesso, l’inventore della tecnologia PCR (Polymerase Chain Reaction), non la pensava allo stesso modo. La sua invenzione gli fruttò il premio Nobel per la chimica nel 1993.

Sfortunatamente, Mullis è morto lo scorso anno all’età di 74 anni, ma non c’è dubbio che il biochimico considerasse il PCR inappropriato per individuare una infezione virale.

La ragione è che l’uso previsto del PCR era, ed è tutt’ora, di applicare lo stesso come una tecnica di produzione, essendo capace di replicare le sequenze del DNA milioni e miliardi di volte; non come strumento diagnostico per individuare virus.

Come la dichiarazione di pandemia da virus, basata sui test PCR possa finire in un disastro, è stato descritto da Gina Kolata nel suo articolo del 2007 sul New York Times “La fiducia in un test rapido porta ad un’epidemia che non c’era”.

Mancanza di un valido gold-standard

Oltretutto, è inutile menzionare che i test PCR usati per identificare i cosiddetti pazienti COVID-18 presumibilmente infettati dal cosiddetto SARS-CoV-2, non hanno un valido gold-standard con cui essere comparati.

Questo è il punto fondamentale. I test hanno bisogno di essere valutati per determinare la loro precisione – in senso stretto la loro “sensitività” [1] e “specificità” – tramite comparazione con un “gold standard”, ovvero il più accurato metodo disponibile.

Come esempio, per un test di gravidanza, il gold-standard sarebbe la gravidanza stessa. Ma come ha dichiarato, ad esempio, uno specialista di malattie infettive australiana, Sanjaya Senanayake, in una intervista alla tv ABC, in risposta alla domanda “quanto è accurato il test [per il COVID-19]?”

“Se avessimo un nuovo test per prelevare [il batterio] stafilococco aureo nel sangue, avremmo già emoculture; questo è il nostro gold-standard che usiamo da devenni e potremmo confrontare questo nuovo test con quello. Ma per COVID-19 non abbiamo alcun gold-standard test”

Jessica C. Watson, della Bristol University, conferma ciò. Nel suo paper “Interpretare il risultato di un test per Covid-19”, pubblicato recentemente sul The British Medical Journal, scrive che c’è una “mancanza di un ‘gold-standard’ chiaro per i test Covid-19”.

Ma invece di classificare i test come inadatti per il rilevamento del SARS-CoV-2 e la diagnosi di Covid-19, o invece di sottolineare che solo un virus, dimostrato attraverso isolamento e purificazione, possa essere un solito gold-standard, Watson afferma in tutta serietà che, “pragmaticamente” la stessa diagnosi COVID-19, che include il test PCR stesso, “potrebbe essere il migliore gold-standard disponibile”. Ma ciò non è scientificamente valido.

A parte il fatto che è assolutamente assurdo prendere il test PCR stesso come parte del gold standard per valutare il test PCR, non ci sono sintomi specifici distintivi per COVID-19; ciò ammesso anche da persone come Thomas Löscher, ex capo del Dipartimento di Infezioni e Medicina Tropicale dell’Università di Monaco e membro dell’Associazione Federale degli Internisti Tedeschi [2].

E se non ci sono sintomi specifici distintivi per COVID-19, la diagnosi COVID-19 – contrariamente a quanto affermato da Watson – non può essere adatta a servire come gold standard valido.

Inoltre, “esperti” come Watson trascurano il fatto che solo l’isolamento del virus, ovvero una prova inequivocabile di virus, può essere il gold standard.

Questo è il motivo per cui ho chiesto a Watson come la diagnosi COVID-19 “possa essere il miglior gold standard disponibile”, se non ci sono sintomi specifici distintivi per COVID-19, e anche se il virus stesso, cioè l’isolamento del virus, non sarebbe il miglior gold standard disponibile / possibile. Ma non ha ancora risposto a queste domande, nonostante le molteplici richieste. E non ha ancora risposto al nostro post di risposta rapida sul suo articolo in cui affrontiamo esattamente gli stessi punti, anche se ci ha scritto il 2 giugno“Cercherò di inviare una risposta più tardi questa settimana, quando ne avrò la possibilità.”

Nessuna prova che l’RNA sia di origine virale

Ora la domanda è: cosa è necessario prima per l’isolamento / la prova del virus? Abbiamo bisogno di sapere da dove proviene l’RNA per il quale sono calibrati i test PCR.

Come i libri di testo (ad esempio, White / Fenner. Medical Virology, 1986, p. 9) così come i principali ricercatori di virus come Luc Montagnier o Dominic Dwyer affermano, la purificazione delle particelle – cioè la separazione di un oggetto da tutto ciò che non è quell’oggetto , come ad esempio il premio Nobel Marie Curie purificò 100 mg di cloruro di radio nel 1898 estraendolo da tonnellate di pechblenda – è un prerequisito essenziale per provare l’esistenza di un virus, e quindi per provare che l’RNA dalla particella in questione proviene da un nuovo virus.

La ragione di ciò è che la PCR è estremamente sensibile, il che significa che può rilevare anche i più piccoli pezzi di DNA o RNA, ma non può determinare da dove provengono queste particelle. Questo deve essere determinato in anticipo.

E poiché i test PCR sono calibrati per le sequenze geniche (in questo caso le sequenze di RNA perché si ritiene che SARS-CoV-2 sia un virus RNA), dobbiamo sapere che questi frammenti di geni fanno parte del virus cercato. E per saperlo, occorre eseguire il corretto isolamento e purificazione del presunto virus.

Pertanto, abbiamo chiesto ai team scientifici dei papers rilevanti a cui si fa riferimento nel contesto di SARS-CoV-2 la prova che le foto prese al microscopio elettronico e raffigurate nei loro esperimenti in vitro mostrino virus purificati.

Ma nessuna squadra ha potuto rispondere a questa domanda con “sì” – e NB., Nessuno ha detto che la purificazione non era un passaggio necessario. Abbiamo ricevuto solo risposte come “No, non abbiamo ottenuto una micrografia elettronica che mostra il grado di purificazione” (vedi sotto).

Abbiamo chiesto a diversi autori degli studi: “Le tue micrografie elettroniche mostrano il virus purificato?”; hanno dato le seguenti risposte:

Study 1: Leo L. M. Poon; Malik Peiris. “Emergence of a novel human coronavirus threatening human health” Nature Medicine, March 2020
Replying Author: Malik Peiris
Date: May 12, 2020
Risposta”L’immagine è il virus che germoglia da una cellula infetta. Non è virus purificato.”

Study 2: Myung-Guk Han et al. “Identification of Coronavirus Isolated from a Patient in Korea with COVID-19”, Osong Public Health and Research Perspectives, February 2020
Replying Author: Myung-Guk Han
Date: May 6, 2020
Risposta“Non abbiamo potuto stimare il grado di purificazione perché non purifichiamo e concentriamo il virus coltivato nelle cellule.”

Study 3: Wan Beom Park et al. “Virus Isolation from the First Patient with SARS-CoV-2 in Korea”, Journal of Korean Medical Science, February 24, 2020
Replying Author: Wan Beom Park
Date: March 19, 2020
Risposta“Non abbiamo ottenuto una micrografia elettronica che mostra il grado di purificazione.”

Study 4: Na Zhu et al., “A Novel Coronavirus from Patients with Pneumonia in China”, 2019, New England Journal of Medicine, February 20, 2020
Replying Author: Wenjie Tan
Date: March 18, 2020
Risposta“[Mostriamo] un’immagine di particelle virali sedimentate, non purificate.”

Per quanto riguarda i documenti citati è chiaro che ciò che è mostrato nelle micrografie elettroniche (EM) è il risultato finale dell’esperimento, il che significa che non c’è nessun altro risultato da cui avrebbero potuto ottenere EM.

Vale a dire che, se gli autori di questi studi ammettono che i loro EM pubblicati non mostrano particelle purificate, allora sicuramente non possiedono particelle purificate dichiarate virali. (In questo contesto, va notato che alcuni ricercatori usano il termine “isolamento” nei loro articoli, ma le procedure qui descritte non rappresentano un processo di isolamento (purificazione) appropriato. Di conseguenza, in questo contesto il termine “isolamento” è abusato).

Pertanto, gli autori di quattro dei principali articoli all’inizio del 2020 che sostengono la scoperta di un nuovo coronavirus ammettono di non avere alcuna prova che l’origine del genoma del virus fosse composto da particelle simili-virali o detriti cellulari, puri o impuri, o particelle di alcun tipo. In altre parole, l’esistenza di SARS-CoV-2 RNA si basa sulla fede, non sui fatti.

Abbiamo anche contattato il dottor Charles Calisher, un esperto virologo. Nel 2001, Science ha pubblicato un “appello appassionato … alla generazione più giovane” da diversi virologi veterani, tra cui Calisher, dicendo che:

[i moderni metodi di rilevamento dei virus come] un’elegante reazione a catena della polimerasi […] dicono poco o nulla su come un virus si moltiplica, quali animali lo trasportano, [o] come fa ammalare le persone. [È] come cercare di dire se qualcuno ha l’alitosi guardando la sua impronta digitale. “[3]

Ed è per questo che abbiamo chiesto al dottor Calisher se conosceva un singolo articolo in cui SARS-CoV-2 è stato isolato e finalmente veramente purificato. La sua risposta:

Non conosco una pubblicazione del genere. Ho tenuto gli occhi aperti per vederne una.”. [4]

Ciò significa in realtà che non si può concludere che le sequenze geniche di RNA, che gli scienziati hanno prelevato dai campioni di tessuto preparati nelle citate prove in vitro e per le quali i test PCR sono finalmente in fase di “calibrazione”, appartengano a un virus specifico – in questo caso SARS-CoV-2.

Inoltre, non vi è alcuna prova scientifica che quelle sequenze di RNA siano l’agente eziologico di ciò che viene chiamato COVID-19.

Per stabilire una connessione causale, in un modo o nell’altro, cioè al di là dell’isolamento e della purificazione del virus, sarebbe stato assolutamente necessario condurre un esperimento che avesse soddisfatto i quattro postulati di Koch. Ma non esiste un esperimento del genere, come Amory Devereux e Rosemary Frei hanno recentemente rivelato per OffGuardian.

La necessità di soddisfare questi postulati riguardanti SARS-CoV-2 è dimostrata non da ultimo dal fatto che sono stati fatti tentativi per soddisfarli. Ma anche i ricercatori che affermano di averlo fatto, in realtà, non ci sono riusciti.

Un esempio è uno studio pubblicato su Nature il 7 maggio. Questo processo, oltre ad altre procedure che rendono lo studio non valido, non ha soddisfatto nessuno dei postulati.

Ad esempio, i presunti topi di laboratorio “infetti” non hanno mostrato alcun sintomo clinico rilevante chiaramente attribuibile alla polmonite, che secondo il terzo postulato dovrebbe effettivamente verificarsi se un virus pericoloso e potenzialmente mortale fosse realmente all’opera. E la morbida peluria e la perdita di peso, che sono state osservate temporaneamente negli animali, sono trascurabili, non solo perché potrebbero essere state causate dalla procedura stessa, ma anche perché il peso è tornato alla normalità.

Inoltre, nessun animale è morto tranne quelli che hanno ucciso per eseguire le autopsie. E non dimentichiamo: questi esperimenti avrebbero dovuto essere fatti prima di sviluppare un test, il che non è il caso.

È interessante notare che nessuno dei principali rappresentanti tedeschi della teoria ufficiale su SARS-Cov-2 / COVID-19 – il Robert Koch-Institute (RKI), Alexander S. Kekulé (Università di Halle), Hartmut Hengel e Ralf Bartenschlager (Società tedesca per Virology), i già citati Thomas Löscher, Ulrich Dirnagl (Charité Berlin) o Georg Bornkamm (virologo e professore emerito all’Helmholtz-Zentrum di Monaco) – potrebbero rispondere alla seguente domanda che ho inviato loro:

Se le particelle che si sostiene siano SARS-CoV-2 non sono state purificate, come si può essere sicuri che le sequenze geniche di RNA di queste particelle appartengano a un nuovo virus specifico?

In particolare se ci sono studi che dimostrano che sostanze come gli antibiotici che vengono aggiunti alle provette negli esperimenti in vitro condotti per la rilevazione del virus possono “stressare” la coltura cellulare in modo che si formino nuove sequenze geniche che *non erano precedentemente rilevabili** – un aspetto su cui il premio Nobel Barbara McClintock ha già richiamato l’attenzione nella sua conferenza per il Nobel nel 1983.*

Non va dimenticato che finalmente abbiamo ingaggiato la Charité – il datore di lavoro di Christian Drosten, il virologo più influente della Germania per quanto riguarda COVID-19, consigliere del governo tedesco e co-sviluppatore del test PCR che è stato il primo ad essere “accettato” (Non convalidato!) dall’OMS in tutto il mondo – per rispondere alle domande sull’argomento.

Ma non abbiamo ricevuto risposte fino al 18 giugno 2020, dopo mesi di mancata risposta. Alla fine, ci siamo riusciti solo con l’aiuto dell’avvocato berlinese Viviane Fischer.

Per quanto riguarda la nostra domanda “La Charité si è convinta che sia stata eseguita un’adeguata purificazione delle particelle?”, La Charité ammette di non aver utilizzato particelle purificate.

E sebbene affermino che “i virologi della Charité sono sicuri che stanno testando il virus”, nel loro articolo (Corman et al.) Affermano:

L’RNA è stato estratto da campioni clinici con il sistema MagNA Pure 96 (Roche, Penzberg, Germania) e da colture cellulari supernatanti con il mini kit di RNA virale (QIAGEN, Hilden, Germania)

Il che significa che presumevano che l’RNA fosse virale.

Per inciso, il paper di Corman et al., pubblicato il 23 gennaio 2020, non è stato nemmeno sottoposto a un adeguato processo di peer-review, né le procedure ivi delineate sono state accompagnate da controlli, sebbene sia solo attraverso queste due cose che il lavoro scientifico diventa davvero solido.

PARTE SECONDA A BREVE.

Riferimenti

Articoli recenti…

BIOHACKING, INSULINA E CHETONI

BIOHACKING, INSULINA E CHETONI

Anche nelle piattaforme scientifiche più accreditate si parla sempre di più di biohacking [1]. “Nella ricerca della...