Essere positivi? Non vi meravigliate a quanto pare è una caratteristica di natura evolutiva…

Scritto da Angelo

Categorie: Nutrizione | Pillole | Salute

23 Maggio 2016

Gli stati d’animo positivi sono diffusi e si associano a modelli comportamentali adattativi nel corso della storia evolutiva umana: felicità ed evoluzione

di Eva, psicologa specializzata in neuroscienze cognitive

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Cosa s’intende per “positivity offset”? Questo è il punto di partenza dell’argomento che tratteremo oggi. Forse noi non ci facciamo caso ma tendenzialmente manifestiamo questa caratterista più di quanto non possiamo sapere. Nello specifico, l’offset dello stato d’animo positivo è quella tendenza a manifestare un umore moderatamente positivo anche in assenza di stimoli, o meglio in condizioni neutrali ove sono presenti stimoli non necessariamente perturbanti. (John Cacioppo e Berntson 1994, 1999) 

Procediamo con ordine…….

Prima di addentrarci nell’argomento principale, citiamo qualche teoria di matrice evoluzionista che spieghi il ruolo delle emozioni nel comportamento umano.

Il modello di  Nesse (1990) postula che le emozioni positive e negative monitorano le conseguenze di un dato comportamento, situazione o stimolo per incoraggiare comportamenti adattivi e scoraggiare i comportamenti disadattivi: ad esempio situazioni o eventi che producono piacere e altre emozioni positive fanno sì che l’organismo sia motivato a perseguirle, al contrario situazioni minacciose che generano paura e altre emozioni negative verranno evitate in futuro (Nesse e Ellsworth, 2009).

Nesse (2004) ha suggerito che le emozioni positive e negative possano essere intese come meccanismi di dominio generale concepiti  per far fronte a situazioni difficili e finalizzati al perseguimento di obiettivi specifici. Questa teoria mette in evidenza le funzioni positive di emozioni negative e possibili conseguenze negative di emozioni eccessivamente positive. Le emozioni negative sono diagnostiche di problemi adattivi (da risolvere) al pari di dolori fisici e malattie (Nesse e Williams, 1994).

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Si parla di emozioni, stati d’animo, affetti e ahimè nel linguaggio comune si tende ad usare questi termini in maniera intercambiale anche se vi sono delle sostanziali differenze a riguardo.

Non è certo il mio scopo, ora, farvi un saggio breve su questi costrutti psicologici ma è bene tenere a mente un aspetto importante in funzione del concetto di offset dello stato d’animo positivo, argomento che tratteremo in queste pagine. La differenzia sostanziale è nella durata: lo stato d’animo è qualcosa che noi viviamo, proviamo ma è di lunga durata ed ha una certa continuità nel tempo e non è imputabile ad un singolo evento identificabile;

le  emozioni, invece, sono spesso vissute più brevemente, più intensamente, e  in funzione di eventi specifici. Gli stati d’animo si riferiscono spesso a sentimenti positivi o negativi generali, mentre le emozioni tendono ad avere obiettivi specifici.  L’affetto, invece, è un termine generale per i sentimenti, inclusi sia gli stati d’animo che le emozioni. Mentre la maggior parte delle teorie evolutive si è concentrata sulle emozioni, quali stati affettivi in risposta a qualche stimolo ambientale percepito (Cosmides & Tooby, 2000; Haselton & Ketelaar, 2006; Nesse & Ellsworth, 2009; Tooby & Cosmides, 2008) in questa review, si vuol evidenziare come le persone sperimentano stati d’animo ed emozioni positive la maggior parte del tempo, tranne quando eventi indesiderati possano scatenare emozioni negative, che possono ridurre o eliminare le sensazioni positive temporaneamente;

gli autori di questo articolo, pubblicato nel 2015 su Personality and Social Psychology Review, hanno voluto regalarci un’interessante prospettiva sullo stato d’animo positivo che caratterizza, tendenzialmente, noi essere umani. L’Offset dello stato d’animo positivo si riferisce alla tendenza a sentirsi bene e ad essere attratti per le attività e il mondo in assenza di significativi eventi negativi. Così, gli esseri umani si sono evoluti nel reagire a stimoli positivi con sentimenti positivi più intensi ma allo stesso tempo a provare lievi o moderati sentimenti positivi in assenza di notevoli cambiamenti delle circostanze. E’ il caso di dire che possiamo essere felici e sereni sempre, non deve esserci un motivo specifico alla base di tutto ciò!

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Gli stati d’animo positivi non solo sono diffusi, ma tendono ad essere associati a modelli comportamentali adattativi nel corso della storia evolutiva umana.

Essi facilitano una serie di caratteristiche utili alla sopravvivenza e, al tempo stesso, sottendono una serie di meccanismi psicologici funzionali al mantenimento della specie e alla sua continuità nel tempo. Parliamo di condotte prosociali, di affiliazione, di cooperazione e sostegno verso il prossimo, sentimenti come altruismo e compassione; essere positivi è sintomo di successo, di relazioni positive (capacità di relazionarsi al prossimo in modo funzionale, costruttivo ma soprattutto sano), e sicuramente è funzionale alla crescita dell’individuo e alla costruzione della sua autostima avendo una risonanza maggiore non solo verso se stessi ma anche verso il prossimo. Tutto ciò emerge da una serie di ricerche fatte in questi anni e per chi volesse approfondirne la lettura a tergo troverà il link con lo studio completo! 

La circolarità degli stati d’animo, un’espressione che sono solita usare nell’osservare in maniera del tutto empirica il comportamento umano… Perché parlo di questo? Semplicemente non posso far altro che concordare con i risultati emersi dagli innumerevoli studi fatti sull’argomento fino ad oggi!

Cosa emerge? Innanzitutto l’essere positivi influenza inevitabilmente il contesto in cui viviamo, la nostra quotidianità, le persone con cui ci relazioniamo, interfacciamo vuoi in una dimensione intima (i nostri cari per esempio), a lavoro (l’ambiente lavorativo più ampio, la produttività lavorativa, i nostri colleghi e superiori)…..Presi come siamo da noi stessi a volte tendiamo a dimenticare ciò! Essere positivi, “thinking positive” (quante volte abbiamo sentito questa espressione) beh, ha il suo perché! Influisce sulla salute e sul benessere psicofisico in generale, sulla longevità, sulla riproduttività, sulla fertilità!

Non c’è ombra di dubbio: “siamo animali sociali (πολιτικόν ζώον)”, così amava apostrofarci il grande filosofo greco Aristotele, e in quanto tali siamo portati per natura ad unirci ai nostri simili per formare delle comunità. Viviamo in gruppi sociali da molte generazioni e non è forse l’offset positivo un fattore critico che ci spinge al contatto sociale, al confronto (laddove sorga un eventuale conflitto) e all’integrazione sociale? E non sono forse queste le prime basi su cui si è costruita la società?

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Facciamo un salto indietro nel tempo… 

La storia ci insegna che i nostri antenati preistorici, prima dell’avvento dell’agricoltura, hanno vissuto in piccoli gruppi cooperativi utilizzando strumenti ideati e creati da loro stessi. Hanno scoperto e successivamente imparato ad usare il fuoco, si sono dedicati alla caccia e condiviso il cibo, e  tutto questo insieme di conoscenze utili per il loro sviluppo e soprattutto per la loro sopravvivenza  è stato tramandato di generazione in generazione attraverso i gruppi. Durante il successivo Paleolitico, abbiamo tracce di quelle che oggi potremmo definire “opere d’arte”(graffiti alle pareti che ci hanno in un certo senso permesso di ricostruire il loro stile di vita, le loro abitudini) e di pratiche spirituali come sepolture rituali. Una volta lasciata l’Africa, i nostri antenati si sono spostati in diverse aree imparando a vivere in una grande varietà di ambienti.

In definitiva, tutto quello che sappiamo sui nostri antenati suggerisce che i loro comportamenti rispecchiano modelli determinati dall’offset positivity.

E’ molto probabile che le relazioni sociali e l’atteggiamento prosociale avessero una valenza maggiore per i nostri predecessori più di quanto non lo siano per noi oggi (Caporael, 1997). I nostri antenati hanno vissuto come cacciatori-raccoglitori in piccoli gruppi (Dunbar, 1992) ed evidenze di ordine genetico-molecolare suggeriscono che i nostri antenati probabilmente hanno praticato l’esogamia femminile (Seielstad, Minch, e Cavalli- Sforza, 1998): gli uomini sono rimasti nei loro gruppi natali per tutta la vita e le donne si sono sposate all’interno dei gruppi vicini in cui sono rimaste per tutta la vita adulta (un tratto che ci accomuna agli scimpanzé!) (Geary, Byrd-Craven, Haord, Veglia, e Numtee, 2003). In tali contesti, è estremamente importante rimanere in buoni rapporti con tutti e non danneggiare i propri rapporti sociali (Caporael, 1997).

Nella società contemporanea abbiamo la possibilità di interrompere alcune relazioni che risultano disfunzionali per noi e passare a nuove cerchie di amici. Siamo in grado di entrare in un’altra chiesa, ottenere un nuovo lavoro, cambiare quartiere o città e fare nuove amicizie. Si tratta di opzioni che i nostri antenati probabilmente non hanno mai avuto, dovevano, infatti, mantenere amicizie e alleanze con tutti nel loro gruppo. Date le prove a disposizione, è ragionevole supporre che i legami di amicizia e le alleanze erano un aspetto importante e onnipresente della vita in piccoli gruppi dei nostri avi “cacciatori-raccoglitori” e ciò potrebbe essere una delle ragioni principali perché l’offset dello stato d’animo positivo è stato selezionato nel corso dell’evoluzione.

Questa costante positività induce noi esseri umani ad essere più propositivi, maggiormente proiettati alla socialità creando rapporti di qualità superiore che sono caratterizzati da cooperazione e stabilità.

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Per concludere…

Riportiamo nella tabella i risultati di metodologie che aiutano a stabilire e a capire le associazioni causali nel mondo di tutti i giorni includendo anche gli esiti di esperimenti condotti in laboratorio!

SUCCESSO IN TRE DOMINI

Tipologia di studi Vita sociale Lavoro e crescita Salute, longevità e fertilità
Studi correlazionali Le persone felici hanno maggior supporto sociale. Lavoratori felici ricevono maggiori valutazioni dai supervisori. Le persone felici sono più fertili al contrario di quelle depresse.
Studi longitudinali La felicità predice la possibilità di matrimonio, un ridotto tasso di divorzi (controllando possibili variabili confondenti) La felicità predice redditi più elevati, ridotta disoccupazione.
La soddisfazione sul posto di lavoro è predittiva di successi futuri
La felicità predice una buona salute e influisce sulla longevità (tenendo conto delle altre condizioni iniziali)
Studi in laboratorio Gli stati d’animo positivi indotti portano ad una maggiore socialità e fiducia in se stessi Stati d’animo positivi indotti portano a maggiore creatività, produttività e una prolungata gratificazione. Stati d’animo positivi indotti rafforzano il sistema immunitario.
Studi randomizzati controllati per il trattamento della depressione Il trattamento della depressione comporta maggiore sostegno sociale Coloro i quali hanno ricevuto il trattamento per la depressione sono occupati a lavoro, perdono meno giorni lavorativi e sono più produttivi. La terapia per la depressione migliora lo stato di salute in relazione alla qualità di vita.
Associazione dinamica tra le variabili nel corso del tempo Gli stati d’animo positivi sono accompagnati da grandi sentimenti socialità anche quando si è soli. Gli impiegati che sono nel “mood”positivo tendono ad essere più creativi. I soggetti intervistati si sentono più sani ed energici quando sono di buon umore.
Mediatori dei processi causali dinamici Le persone felici sperimentano maggiore sicurezza e c’è una maggior probabilità che le relazioni sociali siano più gratificanti. I lavoratori felici creano una maggior fidelizzazione del cliente e sono cittadini maggiormente organizzati. Lo stato d’animo felice rafforza la funzione immunitaria, influisce sul recupero cardiovascolare dopo condizioni di stress producendo comportamenti funzionali al benessere dell’individuo.

I dati suggeriscono che gli stati d’animo influenzano causalmente comportamenti che sono utili alla sopravvivenza e alla riproduzione. Gli studi longitudinali suggeriscono causalità perché la felicità iniziale predice gli esiti successivi, controllando possibili variabili confondenti e altre cause. Gli studi sperimentali di laboratorio (che inducono gli stati d’animo) e gli studi randomizzati controllati per il trattamento della depressione tendono a sostenere con forza l’idea che la causalità può spostarsi da uno stato affettivo positivo generando esiti che sono funzionali alla sopravvivenza e alla riproduzione. I dati suggeriscono anche che una ridotta affettività positiva può portare risultati negativi nella vita. Inoltre, alcuni mediatori dei collegamenti causali sono stati scoperti, gettando maggior luce su queste tematiche. Anche se gli effetti delle manipolazioni dello stato d’animo in laboratorio si potrebbero attribuire alle cognizioni che accompagnano il cambiamento dello stesso, diverse manipolazioni dello stato d’animo, dalla musica ai film divertenti, dai piccoli regali al ricordo di eventi passati, hanno portato a risultati simili.

Dato che gli stati d’animo positivi sembrano influenzare sempre di più comportamenti che sono rilevanti per la riproduzione e la sopravvivenza, è un’ipotesi ragionevole che gli stati d’animo positivi siano stati selezionati nel corso della nostra storia evolutiva.

Secondo questo filone di ricerche, gli esseri umani sono stati evolutivamente selezionati per l’offset positivity e due considerazioni sono degne di nota.

Sulla base dei dati raccolti  mediante svariate tecniche e metodologie quali interviste self report o indicatori fisiologici (per quanto concerne lo stato d’animo) e scale di valutazione, si può affermare che l’offset positivo è piuttosto ubiquitario, pertanto può essere questa una componente di natura adattiva e partendo da un “mood tendenzialmente positivo”, questa può essere una componente preziosa responsabile del nostro successo nella vita?

Una risposta adattiva quindi, anche se si vive in condizioni disagiate o si è reduci da un lutto o da un evento traumatico qualsiasi, o nel caso in cui si hanno disabilità mentali si è in grado di poter sperimentare un mood positivo,reagendo in questo modo alle avversità… Si, senza dubbio gli eventi tragici ci toccano dal vivo, cambiando temporaneamente il nostro stato d’animo… Ma questa sorprendente capacità di cui siamo dotati è da prendere sempre più in considerazione, dandoci, quindi, una prospettiva nuova su cui riflettere.

Riferimenti, a cura di Eva e Angelo: 

Cacioppo, J. T., & Berntson, G. G. (1994). Relationships between attitudes and evaluative space: A critical review, with emphasis on the separability of positive and negative substrates. Psychological Bulletin, 115, 401-423.

Cacioppo, J. T., & Berntson, G. G. (1999). The affect system: Architecture and operating characteristics. Current Directions in Psychological Science, 8, 133-137.

Giusti F. Le origini delle società umane. Vol. I La scimmia e il cacciatore. Donzelli editore 2000

Ito, T.A., & Cacioppo J. T. (2005). Variation on a human universal: Individual differences in positivity offset and negative bias. Cognition and Emotion, 19 (1), 1-26

Robbins S., Judge T. A., Millett B., Boyle M. Organisational Behaviour. Pearson Education Australia 2013 

Diener E, Kanazawa S, Suh EM, Oishi, Why people are in generally good mood? Pers Soc Psychol Rev. 2015 Aug;19(3):235-56.
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