Cibo e Ambiente, La Grande Beffa. Di Giovanni Cianti

Scritto da Angelo

Categorie: Nutrizione | Salute

16 Marzo 2019

Giovanni Cianti

Giovanni Cianti
Evolutionary Biology Advances

CIBO E AMBIENTE, LA GRANDE BEFFA

The Grain footprint ovvero l’impatto ambientale devastante dell’agricoltura cerealicola
18/10/2012

Sommersi e confusi dallo tzunami mediatico che facendo leva sull’impatto ambientale, demonizza il cibo di origine animale, in modo particolare la carne a favore di una alimentazione vegetariana se non addirittura vegana – antistorica e antiscientifica risposta alla miseria del genere umano – sentiamo l’esigenza di fare chiarezza in maniera definitiva su questo controverso argomento. E’ necessario infatti spiegare perché le multinazionali dell’agro-alimentare abbiano messo in moto questa colossale “macchina del fango” e lo faremo come è nostra abitudine puntualizzandone ogni aspetto con dati da fonte istituzionale e da ricerche scientifiche. In realtà i problemi ambientali veri non nascono dalla carne, ma dalla coltivazione dei cereali che oltretutto produce cibo innaturale e dannoso, causa di tutte le malattie che l’umanità subisce da 12.000 anni a questa parte. Non solo, attraverso la cerealizzazione della nostra catena alimentare si sono trasferiti problemi e malattie anche alla carne da macello. E’ facile emozionare con dati impressionanti sulle emissioni di CO2 e sul consumo di risorse ambientali, preziose perché non rinnovabili quando non si dà un ordine di grandezza alle cifre e non si esplicita con chiarezza la realtà di certi fenomeni. Va chiarito soprattutto che i dati mistificanti e fuorvianti che vengono forniti in relazione all’impatto ambientale della produzione di carne:

  • Si riferiscono all’allevamento intensivo di monogastrici e ruminanti (LLM Livestock Landless Monogastric e LLR Livestock Landless Ruminant) che costituisce il 93% della produzione mondiale, un sistema di allevamento innaturale e nocivo sia per la salute dell’animale che umana. Reso possibile 50 – 60 anni fa dalla produzione industriale degli antibiotici (gli animali costretti alla promiscuità in ambienti angusti si trasmettono infezioni) e dall’avvio delle monocolture particolarmente del mais, l’allevamento nelle stalle ha sostituito l’allevamento biologico e naturale al pascolo che viceversa ha impatto ambientale, ampiamente positivo.
  • Si riferiscono all’intero ciclo di vita del prodotto (LCA, Life Cycle Assessment) che inizia con l’aratura del campo, la semina, la concimazione, raccolta, ecc.. fino alle farine di mais e soia con le quali verrà nutrito l’animale al posto del suo alimento naturale, l’erba. Dati totalmente diversi emergono se si analizza l’allevamento al pascolo come vedremo più avanti.

Il motivo di questa strategia mediatica sta ancora una volta nella ricerca cieca e distruttiva del massimo profitto economico. L’agricoltura cerealicola messa sotto accusa addirittura più dell’industria per le sue emissioni di CO2 dal protocollo di Kyoto1, sta distruggendo le limitate risorse del pianeta e al tempo stesso non è più sufficiente a coprire le necessità energetiche di 7 miliardi di umani. Di questo l’industria agro-alimentare è ben consapevole, si veda ad esempio il recente decalogo della Barilla per i produttori. Per comprendere a pieno la strategia delle “grandi sorelle” dell’industria mondiale del cibo, si devono considerare questi dati:

  1. Il 95% della popolazione del pianeta, non producendo il cibo che consuma, dipende dalla Food Industry
  2. Il mercato mondiale dell’agro-alimentare è gestito da 4 – 5 big companies che fanno capo alla finanza internazionale la quale controlla anche l’industria dell’energia e quella della salute. Cibo, energia, salute sono i bisogni fondamentali di ogni vivente e sono concentrati nelle mani di un ristrettissimo gruppo di persone, che di fatto sono i veri padroni del pianeta.
  3. Concentrare l’alimentazione umana sui cereali significa avere margini di profitto inimmaginabili per il costo quasi inesistente della materia prima, l’altissimo ricavato della sua lavorazione e commercio, il mercato universale disponibile perché il prodotto al consumo mantiene comunque un prezzo accessibile ai più.
  4. La cere-agricoltura sta distruggendo il pianeta non per il falso problema delle emissioni di gas-serra, un fenomeno naturale sul quale l’azione antropica è praticamente zero, bensì per motivi molto più consistenti:
    a. La deforestazione e trasformazione del suolo (ad oggi 2/3 delle foreste e metà delle praterie del pianeta sono state distrutte per coltivare cereali)
    b. La desertificazione del suolo stesso e l’abbattimento della biodiversità
    c. L’utilizzo esponenziale delle risorse di acqua, il 92% del consumo per le attività umane è a carico dell’agricoltura.
    Di conseguenza come ben sanno i meglio informati l’agricoltura cerealicola ha limiti sempre più stretti e invalicabili ma nessuno vuole cambiare indirizzo alla luce del suo elevato profitto, si procede perciò incuranti della devastazione che i cereali producono sulla salute dell’uomo, degli animali e sull’ambiente.
  5. La produzione attuale di cereali è destinata a tre settori:
    a. Il 40% per alimentazione umana, una quantità ampiamente insufficiente che si vorrebe però incrementare alla luce come si è visto degli ingenti profitti
    b. Il 10% è destinato alla produzione di bio-combustibili che pur caratterizzati da ridotte emissioni di CO2 sono altrettanto devastanti per l’ambiente dei combustibili fossili avendo però il vantaggio di un costo notevolmente inferiore. Anche questo settore viene incoraggiato e lo si vuole incrementare sempre nell’ottica del profitto2.
    c. Il restante 50% diviene alimento innaturale degli erbivori allevati industrialmente che producono, tra torture e sofferenze, carne malata per gli umani3. E’ il settore che si pensa di tagliare per i profitti esigui e il mercato – a causa del costo del prodotto – molto limitato.

Da qui la pervasiva e ossessiva campagna mediatica ispirata dalla industria agro-alimentare che facendo capo alla finanza controlla politica, informazione, educazione e media. E sono oggi i media insieme ai politici i cani-pastore che portano il gregge umano dove il padrone comanda.
In questo lavoro analizzeremo:

  • l’esatta entità del fenomeno dei gas-serra e la scala di grandezza complessiva delle loro emissioni
  • il sequestro del carbonio spesso volutamente ignorato che bilancia le emissioni di CO2
  • l’impatto devastante delle coltivazioni di cereali sull’equilibrio ambientale del pianeta
  • la soluzione più idonea facilmente comprensibile da qualsiasi persona munita di buon senso.

L’IMPRONTA ANTROPICA E LA SCALA DI GRANDEZZA DEL FENOMENO

Si deve per correttezza premettere che parlando di impronta umana sull’ambiente ci troviamo spesso di fronte a dati confusi e contraddittori frutto evidente della grande complessità nel definire fenomeni di dimensioni planetarie. Ne consegue che la politica del clima è incerta e non sempre credibile come sottolineano fonti attendibili e competenti1,2.

L’effetto-serra
Effetto SerraNonostante il termine suoni minaccioso, l’effetto-serra è un fenomeno perfettamente naturale senza il quale sulla Terra non esisterebbe la vita. L’energia solare che colpisce la superficie del nostro pianeta viene in parte assorbita e in parte si riflette verso lo spazio. La parte assorbita genera calore che tende a dissiparsi verso l’alto ma viene trattenuto dai gas presenti nell’atmosfera e fa si che la temperatura al suolo si mantenga mediamente intorno ai +14 gradi. In assenza dell’effetto-serra sarebbe invece di –18 rendendo impossibile ogni forma di vita, dato che l’acqua che la costituisce solidifica a 0 gradi. E’ esattamente lo stesso fenomeno che si verifica in una serra, il vetro che la riveste lascia filtrare i raggi solari ma impedisce al calore di uscire riscaldando così l’ambiente.

I gas-serra
I Gas SerraI composti presenti nell’atmosfera che trattengono il calore sono principalmente il vapore acqueo dovuto alla evaporazione di mari e oceani che contribuisce secondo alcune fonti3 per il 95% complessivo, l’anidride carbonica CO2, il metano, l’ossido di azoto e altri ancora. Anche se certi dati non sono accolti da tutti (qualcuno limita la quantità del vapore acqueo al 70-75%) si evince con chiarezza che il principale, quasi esclusivo responsabile dell’effetto-serra è la naturalissima evaporazione degli oceani. Un calcolo percentuale più accurato fissa allo 0,28 del totale le emissioni di gas-serra causate da attività umane, quindi scrivendo ad esempio che l’emissione di gas-serra antropica nel 2011 è stata pari a 31,6 miliardi di tonnellate principalmente dovuta alla produzione di energia, si fornisce un dato apparentemente terrorizzante che in realtà non sposta di un centesimo il fenomeno. Non è un caso che il cosidetto “protocollo di Kyoto” che impegna i paesi firmatari a ridurre le emissioni di gas-serra almeno del 5% rispetto al 1990 non sia stato sottoscritto da Cina e Stati Uniti. Oltre il vapore acqueo, l’emissione di CO2 e altri gas-serra è comunque in gran parte di origine naturale dovuta alla liberazione dei suoli e alle specie viventi. Tali emissioni peraltro sono ciclicamente compensate dal sequestro di carbonio atmosferico. Dello 0, 28% a carico delle attività umana il 14 – 18% è dovuto all’attività agricola e il 17% alla deforestazione che la precede. Del 14-18% agricolo solo il 18% si fa risalire all’allevamento intensivo di bestiame (grainfed) sempre mantenendo ovviamente il calcolo sul LCA. Se gli animali fossero allevati al pascolo (grassfed) il sequestro superebbe di gran lunga l’emissione. Infatti ancora più grave dell’emissione è il mancato sequestro del carbonio dovuto alla trasformazione dei suoli per uso cerealicolo, cioè l’abbattimanto delle foreste e la distruzione delle praterie. Foreste e praterie sono in pratica i polmoni del pianeta, catturano la CO2 presente nell’atmosfera per trattenere il carbonio nelle piante e nell’erba e per immetterlo attraverso le loro radici nel suolo.

Il ciclo del carbonio
Si stima che il carbonio presente nel pianeta sia così distribuito:

  • 60.000.000 Gt nelle rocce carbonatiche
  • 10.300.000 Gt nelle rocce sedimentarie
  • 34.000 Gt negli oceani e nei mari
  • 4.000 Gt come sotto forma di carbone e petrolio
  • 1.400 Gt nel suolo
  • 760 Gt nella vegetazione
  • 750 Gt nell’atmosfera

Per ciclo del carbonio si intende lo scambio continuo che avviene tra i sedimenti, la superficie, gli oceani e l’atmosfera. Si distingue tra:

  • Il ciclo del carbonio - IL CICLO BIOLOGICOIL CICLO GEOLOGICO che avviene con tempi lunghi, centinaia di milioni di anni tra oceani, rocce e sedimenti
  • IL CICLO BIOLOGICO più radido tra vegetazione, suolo e atmosfera. Le piante grazie alla fotosintesi trasformano la CO2 in carboidrato che consumato dagli animali ritorna all’atmosfera sotto forma di respirazione, deiezioni e decomposizione.

Water footprint
Risorsa fondamentale non rinnovabile l’acqua del pianeta viene così classificata:

  • GREEN WATER, l’acqua piovana immagazzinata nei suoli, immobile, costo zero, l’acqua dei pascoli, della traspirazione delle piante
  • BLUE WATER, l’acqua di superficie, molto mobile e costosa per irrigazione, lavorazioni, ecc..
  • GRAY WATER, l’acqua di risulta, inquinata

Il consumo globale medio per anno dal 1996 al 2005 è stato di 9.087 Gm3 dei quali il 92% legato alla produzione agricola, il 4,7% alla produzione industriale e infine il 3,8% per uso domestico4. Come si vede la produzione di cibo è una idrovora colossale della risorse acquifere del pianeta con 7.404 Gm3:

  • 78% sotto forma di precipitazioni (neve, pioggia)
  • 12% irrigua da laghi e fiumi
  • Soil footprint10% riciclata

In particolare le colture cerealicole ne sono responsabili in massima parte, le graminacee infatti da una parte assorbono grandi quantità di acqua, dall’altra, a causa dell’apparato radicale scarsamente sviluppato, non sono in grado di trattenere nel suolo quella piovana che così viene dispersa.

Soil footprint
L’agricoltura cerealicola immagazzina nel suolo quantità scarse di carbonio mentre ne sottrae in grande misura insieme a fosforo e azoto, desertificandolo. Questo impoverimento che presto conduce alla distruzione dell’humus e delle biomasse è ben conosciuto da millenni tant’è che si è cercato di tamponarlo con la rotazione delle colture alternando di anno in anno alla produzione di cereali quella di altre varietà di piante per rigenerare il terreno e far sì che torni ad essere produttivo. Nell’ultimo secolo si è abbandonata questa tradizione per passare alle monoculture cerealicole che sono realizzabili solo attraverso concimazioni selvagge, con effetti drammatici per il suolo stesso, per la salute umana e per le emissioni di CO2.

I CEREALI CANCRO DELL’UOMO E DEL PIANETA

Il passaggio dall’economia biologica umana, la caccia-raccolta all’economia culturale, l’agricoltura avviene circa 12.000 anni fa in maniera repentina e contemporanea sulla superficie dell’intero pianeta. Popolazioni che non avevano alcun contatto tra loro improvvisamente tutti assieme si mettono a zappare la terra. L’agricoltura, quella cerealicola in particolare, da subito violenta e stravolge l’ambiente. Sventra il suolo con l’aratura, devia corsi d’acqua per l’irrigare, distrugge foreste e praterie per coltivare erbe infestanti – le graminacee appunto – dei cui semi siamo costretti a nutrirci, non essendo animali granivori, contro natura. La grande quantità di cibo amidaceo, facilmente conservabile perché praticamente privo d’acqua, rende cronicamente fertili le femmine umane innescando una progressiva, epidemica sovrapopolazione con l’urgenza pressante di sempre più cibo e quindi di sempre più accentuate devastazioni. I semi delle graminacee divenuti – solo grazie a opportune tecnologie come la macinazione e la cottura – la base della nostra alimentazione sottraggono senza restituire sostanze preziose al suolo, risucchiano acqua in grandi quantità, annientano la biodiversità, rendono i terreni preda di erosione. A questo si devono aggiungere la lavorazione dei terreni, l’uso di concimi, pesticidi, antiparassitari e negli ultimi due secoli l’industrializzazione della produzione stessa. Sessant’anni fa infine l’ultimo sfregio alla biodiversità, laI CEREALI CANCRO DELL’UOMO E DEL PIANETA cerealizzazione della catena alimentare umana, si comincia a nutrire con cereali anche animali erbivori come i bovini oppure carnivori – frugivori come i maiali, producendo sì più carne per ciascun capo ma carne malata, diabetica, fortemente infiammatoria che ha ulteriormente compromesso la salute dell’uomo. Analoga sorte hanno avuto i nostri animali da compagnia, cani e gatti – carnivori puri – costretti a nutrirsi anch’essi di pane, biscotti e croccantini fino all’obesità e al diabete esattamente come noi.
L’impatto devastante dei cereali che insieme a legumi e latticini, alimenti altrettanto nocivi per l’uomo hanno avuto sulla salute umana si riassume nelle loro caratteristiche5:

  • Carico glicidico ed energetico eccessivo da cui obesità, malattie metaboliche, degenerazione dei tessuti dovuta ai legami (AGEs) che gli zuccheri in eccesso formano con le proteine
  • Scarsa presenza di proteine peraltro dal valore biologico molto limitato e quindi malnutrizione
  • Forte presenza di allergeni (glutine, lectine) responsabili di tutte le malattie autoimmuni conosciute e di importanti malattie neurologiche
  • Presenza di fitati e altri antinutrienti che riducono l’assimilazione dei principi alimentari provocando disturbi dell’accrescimento, rachitismo, osteomalacia
  • Alterazione del meccanismo fame-sazietà dovuta alla loro miseria nutrizionale con conseguente iperfagia e/o malnutrizione
  • Presenza di morfine (esorfine) che danno falso senso di benessere, assuefazione e problemi cognitivi

Di conseguenza si può affermare senza tema di smentita che i cereali così come i legumi e i latticini non sono alimenti specie-specifici umani, anzi si rivelano ampiamente dannosi.
I danni prodotti sull’ambiente possono essere così riassunti:

  • sequestro di carbonioTrasformazione dei suoli (LULUCEF), sicuramente il danno più grave, eliminando interi bioma e sconvolgendo ogni forma di biodiversità. Praterie e foreste sono i polmoni del pianeta e l’agricoltura continua a distruggerli senza accenno di rimorso. La trasformazione della foresta a suolo arabile comporta una perdita di carbonio nella vegetazione del 90% e nei primi 5 cm. di suolo del 25-60% e del 13-30% a 5-15 cm. di profondità6. Sul pianeta tra i 18 e i 28 miliardi di tonnellate di carbonio sono state perse dalla trasformazione delle foreste e praterie a terreno crealicolo.
  • Di conseguenza mancato sequestro di carbonio e compromissione dei carbon silk biologici
  • Consumo esponenziale del suolo e dell’acqua, risorse non rinnovabili. Produrre una tonnellata di mais comporta un consumo di 1.000 – 1.600 tonnellate d’acqua. Inoltre quando il suolo è povero di carbonio non riesce a trattenere a lungo l’acqua piovana.
  • Emissioni di gas serra, soprattutto di CO2 a cominciare dall’aratura del terreno per ogni grado della coltivazione (concimi, fertilizzanti, pesticidi…) fino alla mietitura, lo stoccaggio e la lavorazione. Totale dipendenza dai combustibili fossili sia per la produzione (macchinari, trasporto, ecc..) che per i fertilizzanti e gli antiparassitari, il cui prezzo in continua ascesa condiziona fortemente questa produzione. Un bilancio complessivo tra emissione e sequestro di carbonio delle colture cerealicole si attesta sui 168 kg. di carbonio perduto per ettaro7. Una monocultura cerealicola emette in sostanza 73 tonnellate di CO2 per tonnellata di granella prodotta8.
  • Sovrapopolazione sempre più accentuata, in crescita esponenziale oramai non più sostenibile. Il trend anche se si è arrestato nel mondo occidentale prosegue a ritmo incalzante in India, Africa, Cina e in America del Sud.
  • Problemi economici sempre più pressanti e crescita continua del prezzo delle derrate a causa del costo dei combustibili fossili dei quali l’agricoltura cerealicola industrializzata non può rinunciare.
  • Produzione di biocombustibili. E’illusorio pensare che siccome i combustibili derivati dal mais presentano ridotte emissioni di CO2 siano la soluzione energetica “verde”. La deforestazione e la coltivazione del mais dal quale sono derivati li rende ancora più dannosi per l’ambiente dello stesso petrolio. Attualmente degli 11 miliardi di ettari delle terre emerse il 13% sono arativi di questi 20 milioni (1,5%) sono dedicati alla coltivazione di cereali per produrre biocombustibili. Una produzione che si vorrebbe aumentare per i motivi visti in precedenza. Purtroppo distruggere la foresta Amazzonica per produrre etanolo è una strada senza ritorno. La conversione dei pozzi di carbonio come la foresta, la savana e le praterie in piantagioni per produrre biocombustibili annulla i vantaggi di minore emissione di gas-serra durante l’utilizzo, crea insicurezza per l’alimentazione umana e perdita della biodiversità con impatto estremo sull’ambiente. Comporta un elevato dispendio di acqua, di fertilizzanti, di pesticidi e di energia9.
    Per questi motivi la soluzione cerealicola è una strategia demenziale che se perseverata, porterà presto alla desertificazione del pianeta e alla scomparsa dell’umanità.

LA SOLUZIONE SECONDO NATURA, IL PASCOLO

Non è sufficiente come suggerisce Barilla tornare alla rotazione delle colture, fare uso parsimonioso dei fertilizzanti, attenuare il titillage del suolo, usare sementi migliori (più carichi oltretutto di glutine!). Non basterà neppure come vorrebbero certi circoli vegani abolire la carne dalla nostra tavola. Se l’umanità continuerà a crescere a questo ritmo esponenziale mantenendo la base alimentare cerealicola dovremo fare tabula rasa di tutte le foreste e di tutte le praterie del pianeta con danni climatici allora sì irreparabili, desertificazione del suolo, esaurimento dell’acqua disponibile in un pianeta senza più biodiversità, sconvolto da siccità e inondazioni. L’umanità si estinguerà per inedia. Il pascolo invece si prospetta come l’unica soluzione al momento percorribile fermo restando che va messo un freno all’esplosione demografica oppure si dovranno trovare nuovi habitat per l’uomo nello spazio esterno. La produzione di carne al pascolo è sintonica con l’ambiente:

  • La prateria è un bioma naturale del pianeta che i ruminanti pascolano da milioni di anni. Il pascolo è totalmente ecosostenibile, gli erbivori finalmente si nutrono secondo natura e le loro carni tornano ad essere sane. Dopo che hanno esaurito una determinata superficie che fertilizzano con le proprie deiezioni senza che si crei necessità di smaltimento, si spostano e lasciano che il tappeto erboso si rinnovi. L’erba cattura la CO2 dell’atmosfera, ne utilizza una parte e sequestra il carbonio residuo attraverso le radici nel suolo, liberando ossigeno nell’atmosfera. Le praterie sono per loro stessa natura piovose e non necessitano di irrigazione, gli animali ottengono dall’erba la più parte dell’acqua che gli serve, l’acqua piovana grazie all’erba non si disperde in profondità e il pascolo ne diviene magazzino10. Il terreno e la vegetazione realizzano pienamente la loro natura di carbon silk, sequestrando oltre l’8% del carbonio del pianeta, il suolo non è sottoposto a erosione ed è ricco di numerose forme di vita. Gli animali pascolano liberi, senza imposizioni né sofferenze, gli antibiotici divengono inutili perché negli spazi aperti non si verifica possibilità di infezioni. Si rispetta quindi sia gli animali che l’ambiente. Anche il costo di produzione sarebbe molto più contenuto e la carne potrebbe tornare ad essere la base alimentare della nostra specie. Argentina, Brasile, Nuova Zelanda e Australia consentono esclusivamente allevamenti allo stato brado e devono servirci da esempio, in Italia in modo particolare, gli insediamenti umani sono ristretti a poche aree ben delimitate ed esistono pianure e vaste zone appenniniche e pre-alpine oramai abbandonate dall’agricoltura che potrebbero essere pascoli ricchi e proficui. Bovini, pecore, capre, stambecchi, cervi, bufali costituiscono una riserva alimentare estremamente consistente. La stessa Unione Europea caldeggia, inascoltata un ritorno alla pastorizia.
  • Il pascolo 3,4 miliardi di ettari costituisce il 26% delle terre emerse e conserva il 30% del carbonio terrestre cui si deve aggiungere quello trattenuto dalla vegetazione. E’ un perfetto carbon silk che riesce a sequestrare fino a 260 tonnellate di carbonio per ettaro11, insieme alla riforestazione riuscirebbe ad azzerare tutte le emissioni di gas-serra di origine antropica. Inoltre Africa, Sud America, Asia, Oceania hanno ancora vastissimi territori da utilizzare per il pascolo12.
  • Si salverebbe la biodiversità
  • Tornando ad allevare il bestiame al pascolo si risparmierebbe metà dell’attuale produzione di cereali e si potrebbero riforestare i territori come caldeggia da tempo l’IPCC (Intergovernmental Panel of Climate Change)
  • Costituirebbe una fonte di reddito irrinunciabile per due miliardi di persone, mitigando i cambiamenti climatici, e riducendo i rischi di siccità e di inondazioni.
  • Con carne, frutta e verdure che costituiscono la fonte di nutrizione di maggior valore biologico per l’uomo, il suo cibo specie-specifico, l’umanità ritroverebbe la salute e il vigore perduti. La biomassa dei soli bovini sul pianeta è superiore alla biomassa degli umani, il triplo se si considerano tutti gli erbivori quindi si avrebbe addirittura un surplus rispetto alle attuali necessità.
  • Cibo e Ambiente il Momento della SceltaCon la carne prodotta insieme a frutta e verdura in piccole coltivazioni locali si superebbe anche costo economico e le emissioni legate al trasporto del cibo. La loro produzione sarebbe a impatto ambientale zero o quasi.
  • Probabilmente un minore consumo di amidi e zuccheri mitigherebbe l’attuale fertilità femminile riportandola ad evento stagionale e non più cronico com’è attualmente e questo inciderebbe positivamente anche sul problema della sovrappopolazione.

PER CONCLUDERE

La civiltà nata con la Rivoluzione Agricola 12.000 anni fa è finita, avvitata su se stessa – travolta dai sistemi innaturali che essa stessa ha creato – nel baratro della non sostenibilità. Quello che l’uomo ha realizzato distorcendo e stravolgendo le leggi di natura infatti si sostiene esclusivamente con la forza, quando questa forza per qualsiasi motivo viene a mancare, il sistema inevitabilmente crolla. Lo si verifica nella famiglia, nel cibo e nella salute, nella società, nell’economia e ovviamente nell’ambiente. Il futuro della nostra specie sul pianeta va ripensato rapidamente, ripartendo da zero, è inutile sprecare tempo ed energie per cercare di riparare un giocattolo oramai rotto. Solo tornando alla sintonia con le leggi della natura si può trovare una soluzione concreta.

I bisogni fondamentali dell’uomo sono la libertà, il cibo, i vestiti, l’abitazione, la famiglia e la tribù, unica forma naturale di società, tutto il resto è oggi un’orgia incessante di superfluo che ci costringe – come topi coatti nella classica ruota – a correre incessantemente lavorando per consumare e consumando per lavorare senza arrivare mai da nessuna parte. Questo non significa rinunciare all’innovazione e al progresso che anzi potrebbero ricevere uno straordinario impulso dalla rete internet che collegando sette miliardi di individui in tempo reale quasi fossere neuroni di un encefalo planetario potrebbe creare un big brain, un supercervello capace di affrontare e risolvere un futuro che si prospetta drammatico alla luce soprattutto della sovrapopolazione. La nostra gabbiettaLa nostra gabbietta naturale, la Terra è fatta per due criceti, adesso i criceti sono diventati sette e hanno reso la gabbia sporca, congesta e invivibile. Abbiamo due sole strade:

  • rimanere nella stessa gabbietta eliminando cinque criceti oppure
  • cercare una gabbietta più grande.

Trecento anni il tempo massimo a disposizione13.

GC

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