Agricoltura e salute: un rapporto difficile… (PRIMA PARTE)

Con quello che vi state apprestando a leggere, inizia un excursus in più puntate, da parte dell’appassionato di paleopatologia: begreenordie, attraverso la lettura del tomo AAVV Paleopatology at the origins of agricolture.

Buona lettura!

A cura dell’amico “begreenordie”

paleopathology

Tra i 12.000 e i 7.000 anni fa la nostra specie conobbe uno dei più significativi cambiamenti della propria storia evolutiva: il sorgere di economie agricole dalla Mezzaluna fertile sino al Sud America si accompagnò a una radicale modificazione delle abitudini di vita dei nostri progenitori. Da bande di cacciatori-raccoglitori semi-nomadi a raggruppamenti stanziali di agricoltori; da tribù poco numerose e prive di stratificazioni sociali a conglomerati urbani sempre più affollati, con forme di governo complesse.

Sono stati versati fiumi d’inchiostro con l’obiettivo di descrivere gli straordinari benefici che il processo di civilizzazione ha garantito all’umanità. Se la pratica di piantare semi non si fosse diffusa così massicciamente, è probabile che non saremmo qui oggi a discuterne su internet: lo stile di vita agricolo ha costituito il volano per l’incredibile sviluppo culturale della nostra specie. Molte meno pagine sono state invece scritte (o perlomeno pubblicate) nel tentativo di evidenziare le conseguenze sulla salute umana di questo passaggio cruciale.

Ed eccoci al nodo centrale della discussione. Proverò a fornirvi un quadro di riferimento, un brevissimo assaggio di un argomento che vi auguro di aver modo di approfondire autonomamente (ne vale la pena, ve lo assicuro!), ma prima devo citarvi la mia fonte privilegiata… Si tratta in realtà di una piccola scoperta di “archeologia bibliografica”.

Un bel giorno, fra gli scaffali poco frequentati (e dunque decisamente impolverati!) di una biblioteca universitaria, un luogo utilizzato principalmente per connettersi alla rete wi-fi, e solo secondariamente per preparare gli esami (come si dice: “chi è senza peccato…”), io sottoscritto, studente perditempo pronto a raggiungere la mia allegra combriccola per la pausa pranzo, notai un libro dalla copertina verde e dal titolo emblematico: “Paleopathology at the Origins of Agriculture”. Preferisco non riportarvi la mia prima esclamazione, è una parola di sette lettere, utilizzata molto spesso nello slang urbano per esprimere il proprio stupore di fronte a un evento inatteso. Presi il volume in prestito e… Tirai fuori l’articolo che state leggendo.

Paleopathology at the Origins of Agriculture, è una vera e propria pietra miliare per tutti gli studiosi di antropologia fisica. È un libro che non invecchia mai, per quanto la ricerca scientifica abbia prodotto numerosi e più aggiornati lavori nel corso degli ultimi anni: nell’aprile del 1982 venne organizzato a Plattsburgh (New York), da Mark Nathan Cohen e George J. Armelagos, un importante simposio, che vide riunirsi un nutrito gruppo di antropologi, fra i più attivi nel campo delle ricerche riguardanti la “transizione Neolitica” e i suoi effetti sulla salute umana.

Le intenzioni dei due organizzatori erano chiare: ottenere da questi specialisti una sintesi di dati archeologici e scheletrici circa le condizioni di salute prima, durante e dopo la Rivoluzione Neolitica, in differenti zone del nostro pianeta. L’idea era di fornire uno strumento di analisi comparativa, che permettesse di cogliere il trend complessivo, su scala globale, dello stato di salute della nostra specie nelle tre fasi della transizione.

Le indagini paleopatologiche condotte dai ricercatori convenuti al simposio, si avvalevano di specifici indicatori scheletrici, testimonianze preziose (e soprattutto durature!) di eventi patologici occorsi durante la vita dei cacciatori-raccoglitori paleolitici e dei primi agricoltori: alcuni di questi markers sono visibili a occhio nudo (si tratta per esempio di fratture ricomposte, rarefazioni ossee localizzate sul cranio, carie e perdite dentarie…), altri prevedono indagini più approfondite (per esempio radiografie); le misurazioni antropologiche (statura desunta dalla lunghezza degli arti, indici di robustezza ecc.) sono parametri altrettanto utili per comprendere lo stato di salute complessivo di una popolazione; a questo tipo di studi si affianca spesso l’indagine di alcuni elementi chimici (come il rame, lo zinco, lo stronzio…), utili alla ricostruzione delle abitudini alimentari.

Ma passiamo ai risultati dei lavori, tutti molto interessanti: ho selezionato alcuni lavori, riguardanti le indagini condotte in Europa, Asia, Africa e America del Nord (qui il record archeologico è decisamente ricco e d’altronde gran parte degli autori delle ricerche sono nordamericani).

 

Europa

Health as a crucial factor in the changes from hunting to developed farming in the Eastern Mediterranean – by J. Lawrence Angel[1]

Salute come fattore cruciale nei processi di transizione dalla caccia all’agricoltura nel Mediterraneo orientale – di J. Lawrence Angel

La ricerca di Angel prese in considerazione siti greci, turchi, balcanici, ucraini, nordafricani e israeliani. Il periodo considerato è molto vasto, dal Paleolitico (30000-9000 a.C.) fino all’Età ellenistica (300 a.C.-120 d.C.), passando per il Mesolitico (9000-8000 a.C.) una fase di transizione dalle economie di caccia-raccolta a quelle agricole) e ovviamente per il Neolitico (7000-3000 a.C.).

In Upper Paleolithic times nutritional health was excellent. The evidence consists of extremely tall stature from plentiful calories and protein (…); (…) vitamin D, and sunlight in early childhood; and very good teeth and large pelvic depth from adequate protein and vitamins in later childhood and adolescence. [p.59]

Nel Paleolitico superiore la salute nutrizionale era eccellente. L’evidenza consiste nelle elevate stature derivanti da un abbondante apporto calorico e proteico (…); (…) [e] dalla vitamina D proveniente dall’esposizione solare nella prima infanzia; dalle dentature eccellenti e dalla profondità del canale pelvico, grazie ad adeguate fonti di proteine e vitamine nella seconda infanzia e nell’adolescenza.

Se non fosse chiaro, lo stato nutrizionale durante il Paleolitico superiore nei siti del Mediterraneo orientale era eccellente: le evidenze provengono dalle stature medie delle popolazioni, tutte elevate, dalle ottime condizioni del cavo orale e dalla profondità del canale pelvico[2]. Il motivo? A detta di Angel l’adeguato apporto di proteine e vitamine, in particolare la vitamina D, sintetizzata grazie all’esposizione solare: i fanciulli del Paleolitico superiore di certo non passavano le loro giornate al buio, davanti a paleomonitor, abbuffandosi di paleomerendine!

Adult longevity, at 35 years for males and 30 years for females (…). Because of the extra stresses of pregnancy and dangers of childbirth (combined with shifting camp, carrying burdens, and presumably doing much of the food collecting and cooking), females died younger.
There is no clear evidence for any endemic desease.
[p. 59]

La durata della vita degli adulti, 35 anni per i maschi e 30 per le femmine (…). A causa di stress legati alla gravidanza e alle complicazioni del parto (oltre che allo stress derivante dalle migrazioni fra gli accampamenti e alla gestione delle “faccende domestiche”) la popolazione femminile era meno longeva.
Non c’è nessuna chiara testimonianza di malattie endemiche.

Passaggio critico signore e signori, sento già i detrattori della “paleo way of life” fregarsi le mani, pronti a esclamare: “Visto?!? Morivano tutti a 30 anni!!!”. Ebbene sì, nonostante un ottimo approvvigionamento alimentare e l’assenza di patologie endemiche, l’età media di morte nel Paleolitico superiore era di 30-35 anni. Un passaggio successivo chiarisce questa apparente contraddizione:

The best explanation for relatively short life span is the combination of stresses of nomadism, climate, and warfare. The latter is especially clear in the Jebel Sahaba population, where projectile wound affecting bone are very common and “almost half the population probably died violently” [p. 60]

La migliore interpretazione della breve aspettativa di vita deve tener presente una combinazione di stress derivanti dal nomadismo, dalle avversità climatiche e dagli scontri [letteralmente warfare in italiano è lo stato di guerra: non ho ritenuto corretto tradurlo in questi termini]. Quest’ultimo aspetto è molto ben evidenziato nella popolazione di Jebel Sahaba, dove sono molto comuni le ferite da armi riscontrabili sulle ossa e dove “più della metà della popolazione morì presumibilmente di morte violenta”.

Morte violenta oltre alle continue migrazioni e al clima ostile in grado di mettere seriamente alla prova la salute delle madri: a detta di Angel la scarsa longevità delle popolazioni paleolitiche si spiega sulla base di questi fattori, non dell’approccio alimentare.

In sostanza, nel Paleolitico superiore non si moriva relativamente giovani a causa, ma nonostante l’eccezionale stato nutrizionale: e questo perché, per procurarsi un’adeguata quota di macro e micronutrienti, i nostri antenati se la vedevano tra di loro o con animali dal temperamento non proprio mite; dovevano correre, saltare, sollevare e scagliare oggetti, col rischio di infortunarsi irrimediabilmente; a questo si aggiungevano i tragitti compiuti per stabilire nuovi accampamenti, che potevano seriamente fiaccare i più deboli, come le donne incinte.

Il trend di mortalità per cause violente proseguì durante la fase mesolitica. Sono le stesse pitture parietali a testimoniarlo:

(…) violence and fighting occurred in Mesolithic times.
For evidence, there are the archery battle scenes in Spanish caves (…). Violence is a social disease. [p. 60]

(…) violenze e combattimenti si verificarono durante il Mesolitico.
A testimoniarlo, in alcune caverne spagnole, le scene di  battaglie combattute fra gruppi di arcieri(…). La violenza è una malattia sociale.

“Violence is a social disease”: definire la violenza del periodo addirittura come una malattia sociale è interessante. Potremmo divagare un po’ circa le implicazioni del modo di vita sedentario (che nel Mesolitico andava affermandosi) sulla nostra socialità, ma preferisco mettervi la pulce nell’orecchio e andare oltre, per non uscire dal seminato…

La caccia ai cervidi e la pesca erano attività ancora praticate nelle società mesolitiche europee, specialmente nelle località prossime ai grandi fiumi (Danubio, Dniepr), e concorrevano all’apporto di sufficienti quote proteiche, utili a mantenere in salute soprattutto i più giovani:

Since hunting on a reasonable scale continued through the Mesolithic (…), it is not surprising that meat and fish protein and vitamin D precursors were enough to keep growth efficient in early childhood (…) and good in late childhood. At Vlasac and other Iron Gate sites on the Danube and Dnieper river sites deer and river fish maintained this Upper Paleolithic growth level. [p. 60]

Dato che la caccia era ancora praticata durante il Mesolitico (…), non stupisce che le proteine della carne, del pesce e i precursori della vitamina D fossero sufficientemente presenti per sostenere la crescita durante la prima e la seconda infanzia. A Vlasac e in altre località dell’Età del Ferro lungo i fiumi Danubio e Dniepr, i cervidi e i pesci di fiume garantirono tassi di crescita analoghi a quelli del Paleolitico superiore.

Ciononostante, alcuni dei siti mesolitici studiati riportavano le prime testimonianze di un peggioramento delle condizioni di salute. Fra i resti umani iniziarono a comparire soggetti insolitamente bassi, testimonianti tra l’altro fasi di arresto dell’accrescimento osseo, dovuti con buona probabilità a carestie stagionali:

(…) a sudden drop in stature occurs in the Mesolithic at some sites: Franchthi, 157 cm (2 males) and 138 cm (2 females); Natufians, 164 cm (10) and 155 (6); Zawi Chemi Shanidar, 164 cm (5) e 154 cm (1). In addition, signs of seasonal growth arrests occur at Frantchti Cave, specifically. [p. 60]

(…) in alcuni siti mesolitici si osserva un repentino abbassamento delle stature: Franchthi, 157 cm (2 soggetti maschili) e 138 cm (2 soggetti femminili); Natufians, 164 cm (10 maschi) e 155 (6 femmine); Zawi Chemi Shanidar, 164 cm (5 maschi) e 154 cm (1 femmina). Inoltre, in particolare nei resti provenienti dalla caverna di Frantchti, si riscontrano indicatori di periodici arresti della crescita.

Quali furono i motivi?

Likely causes of decreased stature are new endemic diseases causing anemias (malaria, hookworm) or local decline in calories. [p. 60]

Verosimilmente, i motivi della riduzione delle stature sono attribuibili alle nuove malattie endemiche che causano anemie (malaria, tenie) o alla locale riduzione dell’apporto calorico.

Nuove patologie, prima di allora conosciute ma di certo non così diffuse fra gli sparuti gruppi di cacciatori-raccoglitori, iniziarono ad affliggere la sempre più numerosa popolazione: anemie, causate da malaria e carenza di ferro, cui si aggiungevano i parassiti intestinali, che assieme agli antinutrienti contenuti nei cereali e nei legumi (sempre più presenti nella dieta) inibivano l’assorbimento gastrointestinale dei nutrienti. I sistemi immunitari iniziarono a dover fare i conti con la restrizione calorica dovuta al minor apporto di carni e solo parzialmente compensata dal consumo di pesce, crostacei e molluschi.

Stabilizzarsi, riducendo così lo stress delle continue migrazioni che mettevano a dura prova la resistenza fisica delle donne gravide: un passo avanti che venne pagato a caro prezzo.

La diffusione del modo di vita agricolo durante il Neolitico sostenne l’incremento demografico:

Populations were 10 to 50 times as dense as in the Paleolithic. (…) New cereal crops supported this expansion. [p. 62]

La popolazione era da 10 a 50 volte più numerosa rispetto al Paleolitico. (…) Le nuove colture di cereali supportarono questa espansione.

Inevitabilmente il consumo di proteine animali si ridimensionò e i cereali, sotto forma di pani non lievitati e pastoni vagamente simili al porridge e al bulgur, divennero la componente dominante della razione calorica quotidiana dei primi agricoltori:

If cereals were consumed in the form of improperly baked, (…) they would contain phytate; this can bind iron and zinc and interfere with gastrointestinal absorption of protein and calcium. Crucifers, nuts, and fruits should have provided enough fats and vitamins B and C. In late winter there may have been minimal shortages of vitamins A and D. [p. 62]

Se i cereali che venivano consumati non subivano una cottura appropriata (…) avrebbero potuto contenere  fitati; questi antinutrienti possono legare il ferro e lo zinco e interferire con l’assorbimento gastrointestinale di proteine e calcio. Crucifere, noci e frutta avrebbero potuto garantire un sufficiente apporto di grassi, vitamine del gruppo B e vitamina C. In inverno inoltrato si sarebbero potute verificare minime carenze di vitamina A e D .

 (…) at Kalinkaya in Anatolia near Boghazkoy, where a very high site-corrected strontium level indicates a diet poor in animal protein. [p. 63]

(…) a Kalinkaya in Anatolia, nei pressi di Boghazkoy, dove i livelli di stronzio indicano una dieta povera in proteine animali.

The Neolithic population as a whole is low in general health [p. 63]

La popolazione neolitica considerata nel suo insieme presenta scarse condizioni di salute

Una dieta per “tirare avanti”, per sopravvivere e recuperare alla bene meglio le energie spese nei campi, non certo per affrontare la vita nel pieno delle proprie forze; tra le altre cose l’aspettativa di vita nel Neolitico superiore (5000-3000 a.C.) si ridusse a una media di 33,1 anni per i maschi e a 29,2 anni per le femmine. L’infanzia pagò un conto salatissimo; chi riusciva a sopravvivere alla malnutrizione recava per tutta la vita, “scolpita” nelle ossa, la testimonianza di un periodo non certo felice e spensierato:

Owing to poor diet throughout childhood, the dimensions of the skull base, pelvic inlet, and long bone shafts, as well as general dental health, were depressed below any reasonable health norm. [p. 62]

A causa della malnutrizione vissuta durante l’infanzia, le dimensioni della base del cranio, del canale pelvico e delle ossa lunghe, così come la salute dentale, si ridussero ben al di sotto della norma.

Dal Neolitico al periodo classico, la densità demografica nelle zone mediterranee si accrebbe progressivamente: il processo di domesticazione vegetale e animale avanzò così a ritmo spedito, anche grazie alle innovazioni tecnologiche; ad esso si accompagnò una sempre più marcata divisione in classi della società, con ovvie ricadute sulla ripartizione delle calorie fra la popolazione.

Interessante il caso dei reali micenei:

(…) the “royalty” at Mycenae differ so greatly from the general population that we exclude them from the overall statistics. (…) the 4% increase in stature and in pelvic depth and the 30% increase in skull base height in the royalty, their ticker (…)  long bones, and the five-fold improvement in their dental health all show nutritional improvement that must involve more meat protein than the average citizen got. (…) From Homer comes the historical implication that rulers were better fed and ate more meat. [p. 66]

(…) la “regalità” di Micene differisce così profondamente rispetto al resto della popolazione che l’abbiamo esclusa dalle statistiche complessive. (…) l’incremento del 4% nella statura e nell’indice di profondità del canale pelvico, assieme all’incremento del 30% dell’altezza della base craniale che si osserva fra i reali, la loro maggiore robustezza delle ossa lunghe e la loro eccezionale salute dentale, tutto ciò evidenzia un miglioramento nutrizionale che deve aver implicato un maggior consumo di carne rispetto alla media della popolazione. (…) Da Omero provengono le testimonianze del fatto che i sovrani fossero meglio alimentati e consumassero più carne.

Si tratta di un piccolo assaggio di ciò che si osserverà successivamente, nel corso della storia, perlomeno fino al secondo dopoguerra: la stratificazione sociale permetterà solo a una piccola parte della società di ottenere quote significative di calorie e in particolare di proteine animali (addirittura troppe se si paragona il loro stile di vita a quello dei cacciatori-raccoglitori paleolitici); gli “altri” si aggiusteranno, cercando di migliorare alla bene meglio il profilo aminoacidico delle pietanze.

Vi lascio con alcuni dati. Sono stati ripresi, tra l’altro, da Spencer Wells in “Il seme di Pandora – Le conseguenze non previste della civilizzazione”[3]. Quando poche cifre valgono più di tante parole…

Periodo storico

Indice di profondità del canale pelvico

Statura media (m)

Durata media della vita (anni)

Uomini

Donne

Uomini

Donne

Paleolitico
(30000-9000 a.C.)

97,7

1,82

1,69

35,4

30,0

Mesolitico
(9000-8000 a.C.)

86,3

1,76

1,61

33,5

31,3

Neolitico inferiore
(7000-5000 a.C.)

76,6

1,73

1,56

33,6

29,8

Neolitico superiore
(5000-3000 a.C.)

75,6

1,63

1,54

33,1

29,2

Età del Bronzo e del Ferro
(3000-650 a.C.)

81,0

1,69

1,54

37,2

31,1

Età ellenistica

(300 a.C.-120 d.C.)

86,6

1,76

1,57

41,9

38

Medioevo

(600-1000 d.C.)

85,9

1,73

1,58

37,7

31,1

Età moderna
(1400-1800 d.C.)

84,0

1,76

1,59

33,9

28,5

XIX secolo

82,9

1,73

1,58

40,0

38,4

Fine del XX secolo (USA)

92,1

1,79

1,65

71,0

78,5

 

FINE PRIMA PARTE – CONTINUA…

Note e riferimenti bibliografici

[1] Tratto da Paleopathology at the Origins of Agriculture – Mark Nathan Cohen & George J. Armelagos, Academic Press, 1984 – pp. 51-73.

[2] Alcuni studi suggeriscono come le popolazioni umane che abbandonano i propri stili di vita tradizionali in favore di approcci agricoli o industriali, vadano incontro a processi di alterazione ossea: essi consistono tipicamente nella riduzione della statura e della profondità del canale pelvico (molto importante per il buon esito di una gravidanza), oltre che nella modificazione delle arcate dentarie, che tendono ad assumere una conformazione a V, spesso portando a sovrapposizione e a conseguenti problemi masticatori.

[3] Wells, a p. 24 del suo saggio, riprende i dati che Angel fornisce alle pp. 54-55-56 di Paleopathology at the Origins of Agriculture, escludendo, per motivi di spazio, numerosi altri indicatori (carie, dimensioni della base del cranio, indici di robustezza etc.).

Seconda Parte (l’Asia)

Terza Parte (l’Africa)

Quarta Parte (le Americhe)

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